L’abbraccio ai prigionieri in una Cisgiordania assediata

Articolo pubblicato originariamente sul Manifesto

Foto di copertina: La liberazione di Khalida Jarrar – Epa/Alaa Badarneh

90 liberati domenica, i coloni si sono vendicati con incendi alle case. Un15enne ucciso a Sebastia. Khalida Jarrar (Pflp) al manifesto: «Sono rimasta in isolamento per sei mesi, è stato orribile»

Di Michele Giorgio

Khalida Jarrar è stanca, ha il volto segnato dalle malattie che la tormentano da anni e che non ha potuto curare in carcere. Ha dormito pochissimo dopo essere stata scarcerata nella notte di domenica nell’ambito dell’accordo di tregua a Gaza tra Israele e Hamas.

EPPURE, la deputata palestinese e dirigente del Fronte popolare (Fplp, sinistra marxista), ieri mattina, dopo aver fatto visita alla tomba della figlia Suha morta giovanissima, ha provato a recuperare le forze. Ha anche tinto i capelli bianchi mostrati subito dopo la liberazione. Sorrideva ieri alle centinaia di amici e sostenitori venuti a salutarla nel piccolo teatro della scuola melchita cattolica nel centro di Ramallah. Il marito Ghassan ha cercato di proteggerla tenendo a bada i giornalisti. «È esausta, lasciatela respirare», urlava ai presenti che la abbracciavano.

Una lunga fila di persone – a un certo punto è arrivata anche la storica portavoce palestinese Hanan Ashrawi -, alcune piangevano per la felicità, come a una festa di nozze. E quelle di Jarrar sono le nozze della libertà recuperata dopo una detenzione di più di un anno senza accuse concrete sottolineano i palestinesi. Nell’ultimo decennio è stata arrestata più volte. Non ha ucciso o sparato, per Israele comunque è una «terrorista» perché fa parte del Fplp.

Ha anche la «colpa» di aver guidato negli anni passati un gruppo di esperti palestinesi incaricati di studiare le strade per portare Israele davanti alla giustizia internazionale per la sua occupazione dei Territori. Un obiettivo raggiunto dal Sudafrica un anno fa accusando Israele di «genocidio a Gaza».

«È STATO un periodo molto duro in carcere in Israele – ci ha detto Khalida Jarrar – Le misure che ha deciso (il ministro israeliano della Sicurezza) Ben Gvir per punire i prigionieri palestinesi sono pesanti e noi donne le soffriamo molto. Subiamo maltrattamenti e alla minima protesta (le guardie) non esitano a usare anche lo spray urticante». L’isolamento è stata la misura che Jarrar dice di aver patito di più di tutte le altre.

«Sono rimasta in isolamento per sei mesi, è stato orribile. Sono ammalata e avevo bisogno di assistenza e compagnia, mi sono state negate. In aggiunta a ciò, c’è il divieto di ricevere le visite dei familiari. Questa è la detenzione riservata ai palestinesi. Tutto è concepito per renderci la vita impossibile», racconta la parlamentare prima di abbracciare forte una amica giunta con i figli piccoli.

Khalida Jarrar, 62 anni, è tornata in libertà assieme ad altri 89 prigionieri palestinesi: 69 donne e 21 minori (uno, Mahmoud Aliwat, ha 15 anni). 76 scarcerati sono residenti in Cisgiordania, 14 a Gerusalemme est. Il suo è il nome più conosciuto, anche all’estero. Nell’elenco ci sono anche Dalal Khasib, di 53 anni, sorella del dirigente di Hamas, Saleh Arouri, assassinato un anno fa a Beirut da Israele; e Abla Abdel Rasul, 68 anni, moglie del leader del Fplp, Ahmad Saadat anche lui detenuto e condannato all’ergastolo. Qualche ora prima della scarcerazione dei 90 prigionieri Hamas aveva consegnato a Gaza City alla Croce rossa tre giovani donne israeliane sequestrate il 7 ottobre 2023.

Domenica centinaia di palestinesi si sono radunati sin dal pomeriggio per le strade di Ramallah. Hanno raggiunto Beitunia, altri sono saliti sulla collina che domina la prigione di Ofer – dove sono stati portati i 90 detenuti giunti da varie carceri – per sventolare la bandiera palestinese. Una attesa segnata da occasionali lanci di lacrimogeni e granate assordanti da parte dei soldati verso la folla.

All’una di notte, con un ritardo di sette ore rispetto ai tempi previsti, gli autobus con a bordo i prigionieri palestinesi hanno attraversato il posto di blocco tra Israele e Cisgiordania occupata. In quel momento sono cominciati i festeggiamenti. Giovani con la bandiera verde di Hamas sono saliti sul tetto di uno degli automezzi mentre altri a terra ballavano, intonavano canti e scandivano slogan.

Una carovana in festa che ha raggiunto Ramallah. Israele, posticipando il rilascio dei detenuti, ha cercato di impedire i festeggiamenti indigesti al governo Netanyahu. Soprattutto alla forte componente di ultradestra religiosa che ha condannato l’accordo di tregua con Hamas e invoca la ripresa dell’offensiva a Gaza alla fine della prima delle tre fasi del cessate il fuoco per «continuare la distruzione» del movimento islamico.

I COLONI ISRAELIANI si sono vendicati per la scarcerazione dei «90 terroristi» incendiando case e lanciando pietre in diversi villaggi palestinesi in Cisgiordania. A Sinjil hanno dato fuoco a due abitazioni e quattro auto. A Ein Shinya, diverse case sono state incendiate. A Turmus Aya hanno attaccato stalle e distrutto recinti per gli animali. Sulla strada 60, vicino a Luban al-Sharqiya, hanno scagliato pietre contro le auto arabe. L’esercito è rimasto a guardare. A Sebastia i soldati hanno sparato sui manifestanti palestinesi che protestavano contro i raid dei coloni: un ragazzo di 15 anni è stato ucciso da un colpo al petto.

Stanca al momento della liberazione come Khalida Jarrar è apparsa anche la giornalista Rula Hassanin, di Watan News. Lei in prigione era finita un anno fa per post sui social considerati «incendiari» e «a sostegno del terrorismo». «Vorrei raccontare quanto ho sofferto, ma temo che le mie parole offrano a Israele il pretesto per rimettermi di nuovo in cella – ci spiega al telefono – L’arresto mi ha separato da mia figlia di otto mesi, è stata dura per me e soprattutto per lei che, così piccola, aveva bisogno della mamma. In carcere sono stata spesso ammalata e non ho ricevuto l’assistenza necessaria».

Nella prima fase dell’accordo di cessate il fuoco verranno scarcerati oltre 700 prigionieri palestinesi arrestati dopo il 2020 in cambio di 33 ostaggi israeliani a Gaza. In totale dovrebbero arrivare a oltre 1.900, inclusi circa 150 condannati all’ergastolo. Il numero definitivo dipenderà da quanti ostaggi israeliani saranno liberati e quanti sono ancora vivi.

ATTUALMENTE nelle prigioni israeliane ci sono almeno 10.400 palestinesi. Molti di loro sono passati per il centro di detenzione di Sde Teiman, finito sotto i riflettori internazionali per torture e abusi. Nomi di rilievo sono Abdallah Barghouti (Hamas), Ibrahim Hamed comandante delle Brigate Qassam (Hamas) in Cisgiordania, Nael Barghouti (prima di Fatah, poi di Hamas) decano dei prigionieri (44 anni in carcere), Hassan Salama (Hamas) detenuto da quasi 30 anni, e il capo del Fronte popolare Ahmed Saadat in prigione (prima dell’Anp, poi di Israele) dal 2002.

Ma il più noto e popolare è Marwan Barghouti (Fatah), leader della Seconda Intifada contro l’occupazione, arrestato nel 2002 e condannato a cinque ergastoli. Barghouti da sempre nega le accuse. Israele si oppone a liberare tutti e cinque. Potrebbe però, secondo voci circolate ieri, scarcerare Nael Barghouti a condizione che venga deportato all’estero. «Comunque vadano le cose, Hamas ha conquistato enormi consensi grazie alla scarcerazione dei prigionieri», commenta Jamil, un giovane giunto a stringere la mano a Khalida Jarrar, «perché ha costretto Netanyahu a cedere. Israele capisce solo la forza».

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