Sradicati ed espulsi in nome della supremazia ebraica

Articolo pubblicato originariamente su Palestine Project. Traduzione a cura di Beniamino Rocchetto

Di Orly Noy

Se c’è una storia che racchiude l’intero concetto di supremazia ebraica in Israele, è la storia di Umm Al Hiran. Questa mattina le autorità hanno demolito l’edificio della moschea lì, completando così la cancellazione del villaggio palestinese.

Questa comunità è stata collocata nella sua posizione attuale dallo Stato stesso, dopo aver preso possesso delle loro terre nell’area del Kibbutz Shoval. In qualche occasione, hanno persino aiutato a difendere il confine con la Giordania. Ora lo Stato ha deciso di voler costruire un insediamento ebraico, Khiran: Cibo (c’è qualcosa di meschino nella scelta di un nome simile), e cacciare via i beduini da lì. Il Deserto del Negev/Naqab è vuoto, ma insistono nel costruire una comunità ebraica sulle rovine di questo villaggio. E l’Alta Corte ha dato la sua approvazione al progetto. Perché? Perché questa è terra statale e allo Stato è permesso di farne ciò che vuole.

Gli abitanti di Umm Al Hiran hanno offerto allo Stato varie proposte, come l’assegnazione di un quartiere nella nuova comunità, o che avrebbero potuto costruire un nuovo villaggio nelle vicinanze, ma no, è stata respinta. Lo Stato non si accontenterà di niente di meno che l’annientamento.

È interessante guardare alla storia di Umm Al Hiran anche nel contesto del quartiere di Tel Aviv di Givat Amal. Due comunità, ebrei (minori) Mizrahi e arabi Palestinesi, che lo Stato considera persone di passaggio, i cui diritti sul luogo in cui lo Stato stesso li ha collocati non sono mai stati regolarizzati e formalizzati, che possono essere spostati da un posto all’altro, in nome della Supremazia Ebraica o dell’avidità.

Sto leggendo: Un Uomo a Mia Immagine (A Man in My Image), la terza parte della trilogia Bambini del Ghetto (Children of the Ghetto) di Elias Khoury, tradotta da Yehouda Shenhav-Sharabani. Ecco come descrive la marcia dei deportati da Lyd (Lod/Lydda) nel luglio del 1948: “Il sole di luglio ci ha colpito senza pietà e abbiamo camminato lungo una strada rocciosa. I soldati hanno bloccato tutte le strade asfaltate che portavano fuori dalla città con pietre e mobili che hanno rimosso dalle case. Le migliaia di bambini che vagavano nel convoglio da Al Lyd sono rinati, ma avvolti in sudari, dormivano per terra. Era dura e secca. Chi ha sete non riesce ad addormentarsi. Avevo paura degli insetti, degli animali selvatici e degli ebrei”.

Senza una comprensione di questo atteggiamento nei confronti dei palestinesi come persone di passaggio, sarebbe assolutamente impossibile comprendere il Progetto Sionista. Una combinazione di superiorità del ceppo più violento che li vede come polvere umana, pedine di una scacchiera che possono essere spostate da un posto all’altro in base agli interessi del Progetto di Ingegneria Demografica Sionista, ma anche di una profonda paura del profondo, radicato legame dei palestinesi con la terra. È una sorta di delirio psicotico che se vengono sradicati abbastanza e vengono gettati da un posto all’altro nelle Marce della Morte che stanno avvenendo ora a Gaza, nelle Espulsioni Etniche di Massa che stanno avvenendo in Cisgiordania, o nell’Infinito Annientamento delle loro comunità e deportazioni come sta accadendo a Umm Al Hiran, alla fine si arrenderanno e se ne andranno. Decenni di espulsioni, Massacri e distruzione, e il Sionismo si rifiuta ancora di capire.

Orly Noy è redattrice di Local Call, attivista politica e traduttrice di poesia e prosa in Farsi. È presidente del comitato esecutivo di B’Tselem e attivista del partito politico nazional democratico palestinese Balad. I suoi scritti affrontano la sua identità di Mizrahi, di donna di sinistra, di donna, di migrante temporaneo che vive come un’immigrata perpetua, e il costante dialogo tra queste identità.

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