Testimonianze: le conseguenze dei massacri

Articolo pubblicato originariamente su We are not numbers. Traduzione a cura di Beniamino Rocchetto

Il mondo si è abituato alle Uccisioni di Massa a Gaza. Ma se lavori in un ospedale, ognuna è un incubo.

Faress Arafat

Striscia di Gaza – Venerdì 3 novembre 2023, verso le 16:00, il pronto soccorso dell’Ospedale Al-Shifa era quasi tranquillo. Lavoravo lì come infermiere volontario dall’inizio della guerra.

Avevo bisogno di una breve pausa per avere notizie di mia madre che si era rifugiata nella Striscia di Gaza meridionale con il resto della mia famiglia. Ho preso il telefono e sono uscito dalla porta del pronto soccorso per dirigermi verso la strada principale perché lì il segnale era migliore. Ma non appena ho mosso i primi passi fuori, gli aerei dell’esercito israeliane hanno bombardato la strada principale proprio di fronte all’ospedale.

Sono caduto a terra e la mia vista si è offuscata. Non sapevo cosa stesse succedendo. Pensavo di essere morto o che una parte del mio corpo fosse stata amputata.

Mi sono subito ripreso e sono corso dentro per prepararmi a ricevere i feriti in arrivo. Mi aspettavo che avremmo ricevuto un numero enorme di feriti e corpi perché la strada di fronte all’ospedale era piena di sfollati che consideravano l’ospedale un posto sicuro.

Decine di feriti hanno iniziato ad arrivare nell’unità di terapia intensiva. Le persone venivano e lasciavano i feriti a terra e uscivano per portarne altri. La maggior parte delle ferite richiedeva cure intensive perché erano molto gravi. Il numero di feriti era molto alto; il personale medico e lo spazio di lavoro non erano sufficienti per gestirli.

Abbiamo suddiviso i casi, chi era in pericolo di vita chi no. Abbiamo messo i corpi dei deceduti in grandi sacchi bianchi. Tremavo mentre lo facevo. Quanto ai feriti, li abbiamo trattati rapidamente e rivalutati per determinare se avevano bisogno di un intervento chirurgico urgente o potevano essere curati direttamente al pronto soccorso.

La maggior parte dei morti e feriti erano bambini e donne. Mi sono chiesto perché luoghi che avrebbero dovuto essere sicuri e protetti secondo il Diritto Internazionale venissero bombardati; questa è stata la prima volta che ho visto con i miei occhi che le aree protette potevano diventare un bersaglio per i bombardamenti.

COME APPARE UN MASSACRO

Nelle settimane in cui ero infermiere volontario al pronto soccorso dell’Ospedale Al-Shifa, dal primo giorno di guerra all’assalto dell’ospedale e al nostro spostamento a Sud, ho assistito alle conseguenze di decine di Massacri. Dopo ogni Massacro, ho avuto a che fare con decine di morti e feriti.

Potreste chiedervi come sia un Massacro, o potreste non volerlo sapere. La maggior parte delle persone ferite che ho curato non avevano più lineamenti a causa delle gravi ustioni causate dalle fiamme dei missili. In molti casi, i feriti sono arrivati ​​con arti mancanti, come una mano o un piede, o con l’intestino esposto. Quanto ai morti, sono arrivati ​​sotto forma di piccoli pezzi che non siamo riusciti a distinguere, e alcune parti del corpo non sono state trovate, forse si erano completamente fuse.

Dopo l’arrivo in ospedale e lo smistamento iniziale, alcuni pazienti vanno in sala operatoria. Per coloro le cui lesioni richiedono più di una semplice assistenza d’emergenza, le sale operatorie sono la destinazione successiva, dove si decide il destino della persona ferita, se uscirà viva o morta. Quando c’è un Massacro, la pressione sulle sale operatorie aumenta enormemente a causa del numero e della gravità delle ferite.

Il mio amico Ashraf, che si era offerto volontario fin dal primo giorno di guerra come tecnico di anestesia e rianimazione all’Ospedale Al-Shifa, mi ha raccontato del giorno più difficile che abbia mai avuto al lavoro, il giorno del Massacro all’Ospedale Ahli Arab il 17 ottobre. Ashraf si stava prendendo una pausa a casa dopo una giornata estenuante in sala operatoria.

Improvvisamente, tutto il personale medico ha ricevuto un segnale di emergenza per essere in massima allerta e preparare tutte le sale operatorie. Ashraf si è precipitato senza pensarci su un’ambulanza ad Ahli Arab. Ha visto il fuoco che bruciava ovunque e ha sentito i bambini urlare mentre bruciavano. Vigili del fuoco e paramedici stavano cercando di salvare le persone rimaste.

Ashraf ha iniziato a spostare i feriti che sembravano essere vivi e in sicurezza, poi tornò all’Ospedale Al-Shifa per lavorare nelle sale operatorie, che erano diventate una zona di guerra. Il numero di feriti era enorme. Mi disse che eseguivano operazioni ovunque, persino sul pavimento e sui letti. Non c’era abbastanza spazio per tutti i feriti. Dopo la fine di un’operazione, il paziente operato veniva adagiato sul pavimento e veniva portato dentro il successivo.

Ricordando di essersi trovato in mezzo a centinaia di morti e feriti, Ashraf disse che non riusciva ancora a trovare le parole per esprimere i suoi sentimenti. Aveva vissuto questa situazione dal punto di vista dei pazienti feriti e delle loro famiglie.

Allora fece fatica a reagire e continua a farlo anche adesso. Anche parlandone settimane dopo, Ashraf scoppiò a piangere e mi chiese: “Perché ci stanno uccidendo? Siamo solo numeri?”

Non ho trovato una risposta adeguata alla domanda di Ashraf, e da allora non ne ho trovata una. Forse siamo solo numeri nei conteggi dei Massacri. Dopo il Massacro dell’Ospedale Al-Shifa, l’esercito israeliano non ha smesso di commettere Massacri; anzi, ne ha commessi sempre di più. Ha bombardato le scuole che ospitavano gli sfollati e distrutto la maggior parte degli ospedali.

COME PUÒ IL MONDO ABITUARSI A QUESTO?

Quasi ogni giorno sentiamo le parole “Massacro” o “decine di cittadini di Gaza assassinati nei bombardamenti dell’IDF”. Forse queste parole non ci toccano più il cuore come facevano prima; sembra che ci siamo abituati. Come può il mondo abituarsi a qualcuno che bombarda e uccide decine di cittadini pacifici, che si tratti di un rifugio, di una scuola, di un campo profughi o persino nelle loro case?

L’Ospedale Al-Shifa, dove Ashraf e io lavoravamo, è emblematico: è stato bruciato e distrutto e le persone che vi cercavano rifugio sono state Massacrate. Ashraf e io condividiamo le stesse lotte e domande. Anche se ora ho lasciato Gaza, soffro ancora di molti brutti e sanguinosi ricordi.

La domanda che continua a frullarmi nella mente è questa: Quando il mondo si renderà conto che ognuno di noi a Gaza ha sogni e ambizioni che vengono distrutti da questa guerra?

Faress Arafat è un infermiere palestinese laureatosi all’Università Islamica di Gaza appena poche settimane prima dell’inizio dell’assalto israeliano chiamato “Onda di Al-Aqsa”. Inizialmente aveva pianificato di lavorare all’Ospedale Al-Shifa dopo la laurea, ma si è trovato subito a lavorare per aiutare i feriti di Gaza durante la guerra. Intrappolato per oltre 40 giorni quando l’esercito israeliano assediò Al-Shifa, Faress alla fine si è riunito alla sua famiglia nel Sud di Gaza, dove ora risiedono in una tenda a Rafah.

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