tratto da:https://www.mosaicodipace.it/
Dalle corsie di un ospedale Covid, un’infermiera si racconta. Molto più di un lavoro.
Un anelito a restare umani.
di Martina Ghirardello
Sono molto affezionata a questa canzone. Ci venne dedicata a una festicciola in università. Credo sia la colonna sonora del mio lavoro, l’infermiera. Qui credo ci sia il concetto base per poter fare questo mestiere: il “prendersi cura”. Direi una declinazione del “I care” di don Milani.
In inglese il verbo base dell’assistenza infermieristica è “to cure”, molto simile graficamente e foneticamente al “to care”, ma molto diversi di significato. A parer mio inseparabili!
Infatti Patch Adams insegna “Se si cura una malattia, si vince o si perde; ma se si cura una persona, vi garantisco che si vince, si vince sempre, qualunque sia l’esito della terapia”.
Non ci si può far carico di una malattia, ci si fa carico di una persona che ha una malattia. Tutti pensiamo all’ospedale, e a maggior ragione al mio reparto di terapia intensiva, come un mondo asettico, privo di ogni legame e di ogni sentimento dove macchine e farmaci fanno da protagonista. Non è così! Al centro di ogni nostra attività e pianificazione c’è il paziente, la persona. Tutto ruota intorno ai suoi bisogni, alle sue necessità.
Lui è l’attore principale.
Non è facile all’inizio prendere confidenza con quest’arte. In università cercano di insegnarti il mestiere del prendersi cura, ma come ogni cosa, calarla nella realtà non è così semplice.
Devi avvicinarti alla persona amorevolmente, con tatto e discrezione. Non devi affezionarti, né creare legami.
Non devi portarti a casa le loro storie. Facile a dirsi, ma vorrei vedere chi a casa non pensa ogni tanto a quella persona nel letto, alla sua storia, a quegli occhi che parlano, a quelle frasi che ti sono state dette..
Prendersi cura per noi è farsi carico. A volte, forse sbagliando, anche sostituirsi. Assistere una persona malata vuol dire prendersi a cuore lui e tutto il contesto familiare attorno ad esso. L’infermiere è quella figura professionale che maggiormente sta accanto al letto del paziente.
In questo periodo storico di pandemia abbiamo riscoperto e sentiamo molto più forte questo prendersi cura. Sembra lo zaino da montagna che pesa sulla schiena ma siamo contenti di portarlo perché dobbiamo arrivare alla vetta per vedere il sole, il paesaggio e tutto il viaggio compiuto. Oggi stare accanto a un paziente è molto più impegnativo, non solo fisicamente! Il prendersi cura in questa pandemia significa aver a che fare con pazienti consci di quello che gli sta succedendo, giustamente preoccupati, ma anche spaventati per i racconti sentiti dai mass media. Il nostro compito, oltre che quello di curarli, è di non farli demordere. La degenza è lunga settimane, a volte mesi, cosa insopportabile soprattutto per una persona sana. Subito dopo qualche giorno l’umore si deflette e non hanno la forza di reagire. Dobbiamo essere noi, le persone a loro più vicine in quel momento, a incoraggiarli. E spesso, una volta esserci svestiti di tute, maschere e visiere, anche noi infermieri crolliamo un po’. Siamo umani e siamo vulnerabili.
Però è sconvolgente come ognuno di noi, stanco e affranto da tutto
quello che ruota intorno al Covid-19, trovi la forza di spronare gli altri, di prendersi cura degli altri (pazienti e anche colleghi!). Si creano legami umani incredibili.
Questa è la nostra forza!
Restare umani!
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…