Chi era Ismail Haniyeh

Pubblicato originariamente su Invisible Arabs

Ismail Haniyeh era nato nel 1962 nel campo profughi di Shati nel 1962. Il campo sulla spiaggia, come dice il suo stesso nome. La casa di Haniyeh era nel cuore di Shati, perché fino alla sua elezione come capo del politburo di Hamas, nel 2017, era sempre rimasto lì. Famiglia di rifugiati proveniente da quella che oggi è Ashkelon, in Israele, come molti dentro Gaza. Era stato il primo esponente di Hamas a ricoprire l’incarico di primo ministro in un governo dell’Autorità Nazionale Palestinese, nel marzo del 2006, subito dopo le elezioni parlamentari che nel gennaio avevano dato una secca vittoria a Hamas. È da quel momento che il nome di Ismail Haniyeh valica i confini della Striscia di Gaza ed entra nella cronaca politica palestinese.

Eppure, la sua storia dentro l’islam politico è di molta più lunga data. Entra nella Fratellanza Musulmana all’inizio degli anni Ottanta, dunque a vent’anni, mentre si trova all’università per i suoi studi di pedagogia e lingua araba. Fa parte del Blocco studentesco a Gaza, la più importante rappresentanza universitaria islamista. Ne assume la guida, partecipa alla prima intifada. Nel 1988 – come molti islamisti di Gaza – viene arrestato per la prima volta, poi ancora nel 1989: è, dunque, uno dei nomi coinvolti nelle due imponenti ondate di arresti da parte di Israele, subito dopo la nascita di Hamas, a riprova che Tel Aviv non ha creato il Movimento di Resistenza Islamico e che, anzi, ha tentato di sopprimerlo fin dall’inizio. Ismail Haniyeh fa parte anche di quel gruppo di 412 membri di Hamas deportati nel 1992 da Israele nel sud del Libano, a Marj el Zuhur. È una deportazione che, per Hamas, diventa inaspettatamente un modo per costruire l’establishment e mettere in comunicazione militanti che provenivano da diversi luoghi del Territorio Palestinese Occupato. Non solo: il campo di Marj al Zuhur  pone le basi per i rapporti internazionali di Hamas. Israele è costretta a riportare a casa i deportati nel sud del Libano. Haniyeh torna, dunque, a Gaza, dove diventa l’assistente di sheykh Ahmed Yassin dal 1997 sino alla morte del fondatore di Hamas, sino – cioè – a quando Yassin viene ucciso all’alba del 22 marzo 2004 da un omicidio mirato supervisionato direttamente dall’allora premier israeliano Ariel Sharon. Lo stesso Haniyeh era  sopravvissuto a un attentato contro lo stesso Yassin nel settembre 2003.

Premier del primo governo monocolore di Hamas, era stato poi primo ministro del governo di unità nazionale del 2007, e – dopo il coup di Hamas a Gaza di giugno – il capo dell’esecutivo de facto che ha retto la Striscia. Nel 2017 diventa il capo del politburo di Hamas, e inizia l’ultimo capitolo della sua vita, quello passato all’estero, in gran parte in Turchia. I capi dell’ufficio politico centrale di Hamas, per una precisa decisione dell’organizzazione, vivono all’estero per avere più possibilità di manovra, per rappresentare l’intero movimento (compresa la militanza all’interno della circoscrizione dei rifugiati) ed evitare – per quanto possibile – di essere sotto il tiro di Israele. E’ il motivo per il quale Haniyeh lascia la Striscia, primo capo del politburo a provenire direttamente da Gaza, e cioè dalla circoscrizione più importante di Hamas. Il suo incarico viene confermato nella successiva elezione del 2021. La lettura che Haniyeh fosse un leader in fuga è del tutto incongruente con la storia di Hamas e della struttura del movimento.

Com’è successo ad altri leader di Hamas, la sua famiglia è stata colpita dagli israeliani. Una sorella uccisa, un’altra arrestata. Tre dei suoi figli – Amir, Mohammed e Hazem – erano stati uccisi in un omicidio mirato extragiudiziale compiuto da Israele il 10 aprile 2024 nel campo di Shati, assieme a quattro nipoti di Haniyeh, tre bambine e un bambino.

Gli omicidi mirati extragiudiziali compiuti da Israele hanno decimato la leadership di Hamas, senza però incidere sulla struttura del movimento. Omicidi mirati che hanno colpito sia la parte militare, sia l’ala politica. Da sheykh Ahmed Yassin al numero due Abdelaziz al Rantisi, da Ismail Abu Shanab a Salah Shehadeh, solo per citare alcuni nomi, spesso uccisi alla vigilia di accordi di tregua per farli saltare.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *