La battaglia storica di Jenin contro Israele e la sua occupazione

Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Jenin è stata un simbolo della Resistenza Palestinese fin dai tempi del Mandato Britannico, un centro per militanti islamisti e laici e il luogo della punizione collettiva di Israele contro i palestinesi.

Di Seraj Assi

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Per due giorni le forze israeliane hanno colpito Jenin con attacchi aerei, che hanno ucciso almeno dodici palestinesi, feriti un centinaio, tra cui donne e bambini, e sfollato migliaia di altri.

Propagandata come la più grande operazione militare a Jenin dopo la Seconda Intifada, l’incursione su vasta scala che Israele ha annunciato mercoledì, e che ha reso la città una terra fantasma inondata di droni e invasa da un grande convoglio di veicoli e ruspe dell’esercito, era “finita”. Dopo lunghe ore di violenza apparentemente incessante, la città sembrava un campo di battaglia abbandonato avvolto dal fumo.

Ma Jenin non è uno Stato in guerra con Israele.

È un campo profughi all’interno di una città Occupata. Il campo, che quest’anno compie 70 anni, è stato fondato dalla Giordania per ospitare i profughi palestinesi sfollati a causa della guerra del 1948. Oggi, circa 17.000 riugiati sono ammassati nei 37 chilometri quadrati, noti come Campo Profughi di Jenin.

Israele ha bramato Jenin sin dalla guerra del 1948, quando le sue forze non riuscirono a conquistare la città, la cui ubicazione strategica e la posizione sul confine giordano offrivano un’attraente zona cuscinetto per il nascente Stato Ebraico. Difesa dall’esercito iracheno, Jenin è stata una delle poche città palestinesi in cui gli arabi hanno combattuto coraggiosamente e hanno mostrato una tenace Resistenza. (Un cimitero di guerra per i soldati iracheni si trova ancora alla periferia di Jenin.)

La dirigenza sionista è rimasta sconcertata dalla sconfitta. Il quotidiano israeliano Haaretz all’epoca scrisse, profeticamente, che il fallimento di Israele nella battaglia per Jenin avrebbe perseguitato la dirigenza israeliana per gli anni a venire. Se Israele avesse preso Jenin quell’anno, notò un lettore, “molto probabilmente il fronte arabo sul confine giordano sarebbe crollato, l’esercito iracheno si sarebbe ritirato, Gerusalemme Est sarebbe stata liberata e il fiume Giordano sarebbe diventato il confine di Israele”.

Fu la sua sopravvivenza che permise a Jenin di servire come rifugio per i profughi palestinesi di Haifa e di altre parti della Palestina. Per tragica ironia, Israele sta ora bombardando proprio la popolazione di rifugiati che ha sfollato 75 anni fa.

Nel 1967, Jenin cadde sotto l’Occupazione israeliana con il resto della Cisgiordania, rendendola una città sovraffollata dai profughi. Israele ha Occupato Jenin, ma non l’ha mai veramente conquistata. I leader israeliani sapevano che Jenin non era un’impresa facile.

La città aveva una lunga storia di Resistenza all’Occupazione straniera. Durante la Grande Rivolta Palestinese (1936-1939), Jenin divenne un cimitero per i soldati britannici, intraprendendo “un’intensificata campagna di intimidazione e sabotaggio”, che causò “grave preoccupazione” all’amministrazione britannica, per citare un rapporto ufficiale inglese.

Fawzi al-Qawuqji, il leggendario comandante sul campo arabo dell’Esercito di Liberazione Arabo nel 1948, ha usato la città come sua base militare nel Nord della Palestina, dove lanciò il suo primo attacco contro le forze sioniste nel kibbutz Mishmar HaEmek, che si trovava vicino a una strada strategica tra Haifa e Jenin.

In parte a causa della sua storia di rifugio, Jenin è diventata un centro per i militanti palestinesi e, di conseguenza, il luogo della punizione collettiva di Israele contro i palestinesi. Ha servito da roccaforte militante per gruppi islamisti palestinesi come la Brigata Al-quds della Jihad Islamica e la Brigata dei Martiri Al-Aqsa di Fatah, ma anche gruppi più laici come le Pantere Nere di Fatah e le Aquile Rosse del Fronte Popolare per la Liberazione del Palestina (PFLP). Ciò ha reso Jenin un simbolo della Resistenza Palestinese contro l’Occupazione.

Più recentemente Jenin è stata la culla di un nuovo tipo di Resistenza sotto forma delle Brigate Jenin, un nascente gruppo militante ispirato dall’aggressione israeliana, indotta dall’aumento della violenza dei coloni e dalla stessa repressione autoritaria e soppressione del dissenso palestinese da parte dell’Autorità Palestinese.

Combinando la lotta armata con la Resistenza popolare, il gruppo ha imbracciato le armi sia contro l’Occupazione che contro i coloni, sparando ai posti di blocco militari israeliani e ingaggiando scontri armati durante le incursioni israeliane. (Ufficiali militari israeliani affermano che negli ultimi sei mesi sono stati effettuati più di cinquanta attacchi a fuoco dall’area di Jenin.)

Il modello del gruppo è stato adottato da altri gruppi armati di recente formazione, tra cui Areen Al-Usud (La Tana dei Leoni) a Nablus, che hanno lanciato diversi attacchi contro posti di blocco, soldati e insediamenti israeliani.

I nuovi gruppi godono del sostegno di un ampio spettro di fazioni palestinesi, tra cui Fatah, FPLP, Hamas e la Jihad Islamica. Ciò ha dato ai gruppi la loro identità interfazionistica. Israele ha cercato di schiacciare queste nuove milizie, come si è visto nelle frequenti incursioni nelle città palestinesi. Il campo di Jenin è stato a lungo bersaglio delle ripetute invasioni, incursioni e bombardamenti, coprifuoco e uccisioni mirate, arresti di massa e demolizioni di case di Israele. Durante la Prima Intifada, il campo fu bersaglio di numerosi attacchi e incursioni militari israeliane.

Nel corso della sua tormentata storia, il campo di Jenin ha conosciuto ben poca pace. Gli Accordi di Oslo del 1993, che hanno costretto Israele a cedere il controllo amministrativo di Jenin all’Autorità Palestinese, hanno solo reso le incursioni israeliane nel campo sempre più frequenti.

Quasi dieci anni dopo la stipula degli Accordi di Oslo, gli oppressi si ribellarono.

Jenin divenne un importante campo di battaglia per la liberazione palestinese durante la Seconda Intifada.

La rivolta palestinese è iniziata come una ribellione popolare nel 2001, ma ben presto è diventata una rivolta armata. Jenin divenne nota ai palestinesi come “la capitale dei martiri” e agli israeliani come la “capitale degli attentatori suicidi”. Israele ha affermato di aver tracciato circa 30 attacchi terroristici imputabili a persone di Jenin. E nell’aprile 2002, all’indomani di un’ondata di attentati suicidi, Israele lanciò un’importante incursione a Jenin come parte di quella che chiamarono Operazione Scudo Difensivo. I palestinesi la chiamano la Battaglia di Jenin.

I resoconti di quanto accaduto durante i combattimenti sono stati contestati da entrambe le parti, compreso il bilancio delle vittime palestinesi che alcune fonti palestinesi stimano a centinaia. Ma un rapporto delle Nazioni Unite e di Human Rights Watch ha rilevato che sono stati uccisi 52 palestinesi, circa la metà dei quali ritenuti civili, e ventitré soldati israeliani.

La battaglia, durata dieci giorni, ha provocato la distruzione di 400 case e il grave danneggiamento di altre centinaia. La BBC ha riferito che il 10% del campo è stato “praticamente spazzato via da una decina di ruspe israeliane corazzate”. Un inviato delle Nazioni Unite ha paragonato il campo a una zona terremotata. Le ruspe israeliane hanno raso al suolo le case con dentro le persone. Circa 4.000 residenti, un quarto della popolazione del campo, sono rimasti senza casa, due volte sfollati. (La distruzione militare della città e del campo e la narrazione palestinese della battaglia sono documentate nel film Jenin, Jenin di Mohammed Bakri: https://youtu.be/7cvCtCfT6Lk).

Due decenni dopo l’Intifada, la violenza continua a perseguitare Jenin. L’11 maggio 2022, durante un’operazione dell’IDF nel campo di Jenin, cecchini israeliani hanno sparato e ucciso la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh mentre documentava l’incursione per conto di Al Jazeera. Un altro giornalista, Ali Samodi, del quotidiano Al-Quds, è stato colpito alla schiena ma è sopravvissuto.

Da lì, la violenza è esplosa. Un anno fa, a giugno, le forze israeliane, appoggiate da elicotteri da guerra, hanno preso d’assalto la zona di al-Marah della città, uccidendo tre palestinesi, e ferendone altri cento. A gennaio, le forze dell’IDF, durante una nuova incursione nella città e nel campo, hanno ucciso nove palestinesi in uno scontro con militanti della Jihad Islamica.

Il campo di Jenin è una creazione israeliana, provocata da Israele all’indomani della guerra. Ossessionato dalla storia dei rifugiati di Jenin, Israele continua a vedere il campo disagiato e impotente come una minaccia alla sicurezza di proporzioni “esistenziali” che richiede misure straordinarie e sproporzionate. Ma la storia ci mostra che la violenza sotto l’Occupazione genera altra violenza.

Il nuovo governo israeliano, pieno di coloni estremisti di estrema destra come Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, bramosi di mostrare che stanno rispondendo agli attacchi palestinesi contro gli israeliani e senza alcun interesse per una risoluzione pacifica del conflitto, non offre alcuna prospettiva di cambiamento o speranza quando si tratta del destino di Jenin e dei palestinesi.

Seraj Assi ha conseguito un dottorato di ricerca in studi arabi e islamici presso l’Università di Georgetown e una laurea in storia del Medio Oriente presso l’Università di Tel Aviv.

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