Alle manifestazioni israeliane per la democrazia sventola la stessa bandiera blu e bianca dello Stato di apartheid

Articolo pubblicato originariamente su Mondoweiss e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

L’attenzione ossessiva sulla bandiera israeliana all’interno dell’attuale movimento di protesta antigovernativo mostra che il suo obiettivo è semplicemente quello di preservare il regime di Apartheid.

Di Rania Hammad e Jonathan Ofir

Le manifestazioni israeliane per la “democrazia”, che si oppongono alle incombenti riforme giudiziarie o alla revisione che minacciano di indebolire il sistema giudiziario nei confronti del potere legislativo ed esecutivo, sono state notate a livello internazionale, soprattutto dopo la loro moltiplicazione (sabato scorso, circa 250 mila manifestanti sono scesi in piazza in tutto il Paese, di cui circa 160.000 nella sola Tel Aviv). E se una serie di colori spicca in queste manifestazioni, è il blu e il bianco, i colori della bandiera israeliana, esposta da un numero enorme di manifestanti.

Le bandiere israeliane hanno praticamente soffocato le poche bandiere palestinesi portate da coloro che vogliono indicare l’Apartheid e l’occupazione israeliana come parte del problema. Ciò è stato intenzionale da parte degli organizzatori: dopo una manifestazione in cui le bandiere palestinesi sono apparse e sono state strappate dai vigilantes, gli organizzatori hanno deciso di esporre le bandiere israeliane in massa. Poco dopo, l’immagine di un mare blu e bianco è diventata il segno distintivo delle proteste.

Il messaggio insito in queste bandiere è tipicamente sionista: la bandiera stessa è in realtà la bandiera sionista che esisteva decenni prima della fondazione di Israele. La Stella di David al centro rappresenta l’ebraismo, a significare l’idea di uno Stato Ebraico. Quando questi manifestanti si avvolgono in queste bandiere, stanno forse inconsapevolmente promuovendo l’ideologia che ha creato la bandiera stessa, come suggerito da David Wolfsohn, il fondatore sionista che l’ha concepita. Ricorda come la bandiera è nata nel 1897 al primo Congresso sionista di Basilea:

“Per volere del nostro leader Theodor Herzl, sono andato a Basilea per preparare il Congresso sionista. Tra molti altri problemi che mi occupavano allora ce n’era uno che conteneva parte dell’essenza del problema ebraico. Quale bandiera appenderemmo nella Sala dei Congressi? Poi mi è venuta un’idea. Abbiamo già una bandiera, ed è blu e bianca. Il tallith (scialle di preghiera) con cui ci avvolgiamo quando preghiamo: questo è il nostro simbolo. Prendiamo questo Talith e srotoliamolo davanti agli occhi di Israele e di tutte le nazioni. Così ordinai una bandiera blu e bianca con sopra dipinto lo Scudo di Davide. È così che è nata la bandiera nazionale, che sventolava sul Palazzo dei Congressi”.

La bandiera, quindi, ha chiaramente un significato religioso. Anche il suo uso nel contesto israeliano, in particolare da parte di questi manifestanti che sembrano essere prevalentemente laici, ha un significato nazionalista.

L’uso di simboli religiosi nelle bandiere non è raro. Molti Paesi cristiani o musulmani presentano una croce o una mezzaluna. Ma la definizione estrema di Israele del giudaismo come nazionalità in sé e per sé (oltre che come religione) rende il simbolismo ebraico sulla bandiera israeliana eccezionalmente nazionalista.

Israele in realtà nega del tutto la nazionalità israeliana e definisce Israele come lo Stato Ebraico. Lo scopo è in definitiva quello di descrivere Israele come l’esclusivo “Stato-Nazione del popolo ebraico”, come è il nome ufficiale della legge quasi costituzionale del 2018, detta “Legge sullo Stato-Nazione”.

Ora, tutto questo andrebbe bene se questi ebrei israeliani vivessero su un’isola disabitata, dove potessero coltivare tutte le leggi dello Stato-Nazione che vogliono, e potessero avvolgersi nelle loro bandiere sioniste e cantare “Hatikvah”, l’inno nazionale che parla del desiderio dell’anima ebraica, come fanno regolarmente in queste manifestazioni dall’alba al tramonto.

Ma la Palestina che questi sionisti decisero di colonizzare non era vuota, nonostante le loro fantasie di “una terra senza popolo per un popolo senza terra”. E per risolvere questa discrepanza tra un’isola ebraica esclusivamente sionista e una terra popolata da una stragrande maggioranza di palestinesi, hanno effettuato la pulizia etnica della maggior parte dei palestinesi e ne hanno impedito il ritorno fino ad oggi (con il completo sostegno di tutto lo spettro politico sionista).

Coloro che manifestano con le loro bandiere israeliane blu e bianche potrebbero pensare di impegnarsi in un atto positivo di patriottismo che sta riscattando un simbolo unificante che la destra fondamentalista ha profanato. Per chiarire questo punto, lo slogan “siamo un solo popolo” è stato al centro delle proteste. Ma come molti hanno sottolineato, incluso l’editore di +972 Magazine Haggai Matar, è chiaro che non siamo “un solo popolo”. Tuttavia, la maggior parte degli ebrei israeliani non riesce a vedere quanto sia tossico per i palestinesi lo sventolamento ossessivo di questa bandiera. Avvolgendosi nella bandiera, gli organizzatori della protesta affermano che si tratta di una questione interna tra gli ebrei e lo Stato Ebraico e che la questione palestinese non è di alcuna importanza.

Una cosa è insistere sull’integrità e la moralità di quella bandiera, per così dire, come simbolo di purezza e rettitudine. Ma quell’insistenza non affronterà mai il problema più grande e reale, cioè i palestinesi e l’Apartheid che li opprime.

In effetti, queste proteste inviano il messaggio che sembra esserci un forte bisogno per i sionisti di competere per vedere chi è il più autentico. I sionisti più di sinistra insistono sul fatto che il liberalismo è un’espressione più autentica del sionismo e indicano la Dichiarazione di Indipendenza, con la sua promessa di “completa uguaglianza di diritti sociali e politici per tutti i suoi abitanti indipendentemente dalla religione, dalla razza o dal genere”, anche se nessuna di queste persone in realtà vuole che questa uguaglianza venga applicata ai palestinesi. I sionisti più di destra sono più imperturbabili, come il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che la scorsa settimana ha chiesto la cancellazione della città palestinese di Huwara.

Eppure il messaggio rimane lo stesso.

È impossibile ignorare l’Apartheid, e la continua persecuzione e oppressione dei palestinesi. Gli israeliani dovrebbero mettere i palestinesi al centro di tutti i loro dibattiti politici perché questa è la realtà, e non se ne andrà. Devono affrontarla. La bandiera blu e bianca, il finto ecologismo, la finta libertà di genere e tutti gli altri espedienti di propaganda non cancelleranno mai il peccato originale e la Nakba in corso.

È tempo di affrontare questa verità. La realtà è che Israele si è costruito attraverso la pulizia etnica, e ci sono sette milioni di palestinesi tra il Fiume e il Mare e altri sette milioni rifugiati che ancora e sempre considereranno il diritto al ritorno come un loro diritto legittimo, come riconosciuto dal diritto internazionale e ribadito dalla Risoluzione 194 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, ed è incontestabile. Non se ne andranno semplicemente.

La recente, eclatante deriva autocratica è una strategia per trovare una soluzione per la presenza dei palestinesi e per rispondere al problema che gli israeliani hanno di esistere sulla stessa terra dei palestinesi. Questa questione include e ha un impatto su tutti, e il non affrontarla significherà solo la continua disumanizzazione degli israeliani stessi mentre disumanizzano i palestinesi.

Alla fine, gli israeliani vogliono purificarsi ed essere purificati dalla bandiera. Cercano di simboleggiare la speranza di una nazione unificata attraverso un simbolo che è diventato sinonimo di Apartheid e oppressione. È impossibile ignorare questa questione. Nel frattempo, l’esclusione della bandiera palestinese da queste proteste riflette il modo in cui la centralità della questione palestinese viene cancellata nella società israeliana. Il motivo per cui gli organizzatori della protesta non riescono a vedere il problema con l’imposizione dell’uso esclusivo della bandiera israeliana è la negazione, ed è centrale proprio come la negazione della Nakba e fondamentale per il pensiero israeliano.

L’attenzione sulla bandiera israeliana indica che l’obiettivo principale dei manifestanti è preservare il regime che conoscevano prima di questo governo. Un regime meno esplicitamente autocratico, uno con cui il mondo convive più facilmente e che ha una parvenza più vicina alla democrazia.

Uno Stato di Apartheid non può essere una democrazia e nessun numero di bandiere blu e bianche può cancellare questo fatto. L’oppressione dei palestinesi sarà sempre al centro di questo problema, e ignorarlo significa semplicemente prolungare il dolore e la disumanizzazione. Il modo in cui Israele tratta e si relaziona con i palestinesi è e definirà ciò che è e ciò che diventerà. Questo deciderà il suo destino e la sua redenzione.

Rania Hammad è una scrittrice e attivista italo-palestinese.

Jonathan Ofir è un direttore d’orchestra, musicista, scrittore e blogger israelo-danese, che scrive regolarmente per Mondoweiss.

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