Voci da Gaza: giorno 302, 303, 304 e 305

Trecentoduesimo, trecentotresimo,trecentoquattresimo e trecentocinquesimo giorno della guerra genocida contro Gaza, dal 2 al 5 agosto 2024

La testimonianza di Zainab Al Ghonaimy, da Gaza sotto bombardamento e assedio

La sofferenza delle donne e delle ragazze assume mille volti sotto il giogo dell’aggressione sionista

Le donne pagano un doppio prezzo a causa di questa brutale aggressione sionista. Ci sono coloro che hanno perso la vita, con la percentuale delle donne martiri più alta di un terzo del numero totale dei martiri uomini, e una percentuale non inferiore di donne ferite, mentre il numero delle vedove aumenta ogni giorno, il che raddoppia il dolore e l’oppressione di queste donne. Sono diventate capofamiglia senza lavoro, reddito personale o addirittura reddito familiare, poiché tre quarti delle famiglie nella Striscia di Gaza dipendono dagli aiuti umanitari per il loro cibo quotidiano.

Per quanto riguarda le donne e le ragazze rapite e arrestate dall’esercito sionista durante l’invasione della città di Gaza ,del suo nord, e al checkpoint militare tra il nord della Striscia e il sud, i racconti della loro sofferenza e le tragedie che le hanno colpite sono lunghe e richiedono volumi per documentarle. Una donna che è stata rilasciata insieme ad altri prigionieri, donne e uomini: “Non credevo di essere sfuggita alle loro mani finché non sono arrivata a Rafah. Morivamo venti volte al giorno e sopravvivevamo ad umiliazioni e insulti indescrivibili. Quante ne potrei raccontare…”

Questa donna liberata ha descritto la sua sofferenza da quando è stata portata via da una scuola dentro un centro di accoglienza nella città di Gaza dove era sfollata con la sua famiglia. E’ stata detenuta per circa due mesi, sottoposta alle peggiori forme di tortura e umiliazione. Dopo il suo arresto ha trascorso undici giorni nella prigione di Antoat, vicino a Gerusalemme, per poi essere trasferita nella prigione di Damoun vicino ad Haifa, dove è stata sottoposta a percosse e insulti, molestie sessuali con parole oscene e minacce di stupro per forzarla a baciare la bandiera israeliana e a insultare il movimento di Hamas. Allo stesso modo, le sue mani e i piedi sono stati legati, gli occhi bendati durante il trasporto da un luogo all’altro. Le bende venivano rimosse solo all’interno della prigione mentre rimaneva incatenata. Ha anche raccontato che durante i primi giorni di detenzione e durante le indagini, alle detenute non venivano forniti cibo e acqua come ulteriore forma di umiliazione, facendole morire di fame, mentre i pasti venivano ridotti successivamente durante il periodo di detenzione. Un’altra donna che ha vissuto la stessa esperienza di detenzione ha aggiunto: “Quando ci hanno preso, le soldatesse ci hanno perquisito nude e hanno portato via tutti i nostri averi, il cellulare, 2000 dollari in denaro e persino la mia fede nuziale, e quando mi hanno detto che mi rilasciavano, non mi hanno restituito nulla. Quando ho chiesto dei soldi, la soldatessa mi ha detto: ‘Non abbiamo soldi per te e se ripeti questa storia, non uscirà di qui”.

Abbiamo letto e sentito molto sulle torture che l’esercito sionista ha inflitto ai prigionieri palestinesi, al punto che dozzine sono state martirizzate sotto tortura all’interno dei centri di detenzione. D’altro canto, ciò che è accaduto alle donne durante la detenzione ha superato ogni limite, poiché non erano combattenti, ma l’obiettivo del loro arresto e della loro tortura era chiarissimo, costringere la resistenza a sottomettersi ai termini del governo di guerra sionista.

Inoltre, durante tutti i raid effettuati dall’esercito sionista nella città di Gaza e nel suo nord, l’esercito separava deliberatamente le donne e i bambini dagli uomini e dai giovani, facendoli poi arrestare per poi spingere le donne e i bambini a partire verso sud. L’esercito ha inoltre insistito affinché le donne e i loro bambini se ne andassero senza portare con loro alcun oggetto personale, anche di piccole dimensioni.

La mia amica, che è stata sfollata in una scuola dopo che la sua casa è stata distrutta, ha detto che quando l’esercito ha fatto irruzione in quella scuola, hanno impedito a lei e a quelli con lei di portare via qualsiasi cosa, visto che sarebbero tornati dopo la perquisizione. Le sue figlie e le sue nuore sono tornate in classe dopo la perquisizione, e non hanno trovato né soldi né gioielli, nemmeno i loro telefoni cellulari, e lei ha detto: “Siamo rimasti senza una lira, non abbiamo più una casa, né soldi e ho perso i miei figli, uno dei quali è stato martirizzato e l’altro è stato imprigionato lo scorso Dicembre”.

Le nostre conversazioni quotidiane con tutte le nostre amiche e colleghe di lavoro ruotano attorno alla sofferenza che noi donne stiamo sperimentando sotto questa abominevole aggressione, dove tutte le capacità finanziarie e logistiche che sostengono il lavoro domestico sono state eliminate, così che cucinare è diventato un’ impresa impossibile, lavare gli utensili è difficoltoso, ottenere acqua calda è complicato perché richiede l’accensione del fuoco sul fornello. La legna da ardere è l’unico combustibile a nostra disposizione oggi, oltre a lavare i panni a mano. Gli uomini spesso non partecipano a questi compiti e alcuni di loro, nella migliore delle ipotesi, si limitano a bruciare legna da ardere e a sollevare l’acqua con un secchio o un gallone, mentre il resto delle mansioni vengono svolte dalle donne.

In mezzo a tutto questo affollamento, le donne sono minacciate dalla violenza domestica anche da parte di estranei che condividono l’alloggio nella stessa scuola o nello stesso campo. Sono anche una facile preda per la contrattazione in cambio dell’aiuto chiamato “umanitario”, visto che coloro che lo supervisionano nella maggior parte dei casi non agiscono umanamente, ma piuttosto approfittano delle opportunità per molestare le donne o abusarle verbalmente e psicologicamente e umiliarle.

Alla luce della brutale aggressione, i circoli viziosi delle nostre vite si stringono e si avvolgono attorno al collo delle donne, aumentandone il dolore e i problemi al punto che si può dire che le donne nella Striscia di Gaza non stanno bene. Ma staranno bene e lavoreremo per garantire che staremo tutti bene, quando questa odiosa aggressione finirà. Fino ad allora, saranno pazienti con le disgrazie e cercheranno di adattarsi in modo che questa vita possa continuare.

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