Voci dalla Palestina: la resistenza palestinese

Di Abu Sara

Beita sembra una cittadina industriale. A parte i soliti soldati dell’occupazione con i fucili spianati all’entrata della città, nel fondovalle vedo una serie di magazzini di ortofrutta, anche di venerdì c’è un via vai di muletti con pedane di aglio o di patate o di limoni… E un fianco di collina è pieno di cave di pietra, questa pietra che decora tutte le case palestinesi.

La manifestazione parte dopo la preghiera, oggi all’ombra dei pini che ci sono quassù. Soffia un vento da sudest, uguale al nostro scirocco. Fa un gran caldo e poco a poco siamo immersi in una foschia fatta di sabbia. I soldati non hanno voglia di scendere, lasciano che gli shebab prendano la collina fino a metà, con i soliti fuochi. Finalmente scendono e tirano qualche lacrimogeno, ma ogni volta che arriva un sasso vicino a loro, corrono in su di nuovo. Non fanno una gran figura.

Finalmente abbandoniamo il campo e scendiamo a Sheik Jerrah. Anche qui il solito gruppo, i coloni invece sono pochi all’inizio, arriveranno dopo. Il cielo comincia a oscurarsi, l’aria cambia completamente e per sera fa freddo.

Mi sento con Ernesto, ragazzo piemontese che studia arabo a Gerusalemme. Mi raggiunge e rimango con lui: così finalmente mi faccio un’idea dei quartieri arabi di Gerusalemme Est. Di casa sta a Shuafat, nel borgo più antico, intorno a cui è pieno di case nuove. Dalla finestra si vede il muro, in direzione di Qalandia. Quelli che erano villaggi arabi, Shuafat, Anata e Issawyia, sono inglobati in un brutto tessuto urbano, e separati tra loro dall’avanzare degli insediamenti dei colonizzatori e delle basi militari. In più c’è il campo profughi di Shuafat, completamente circondato dal muro. I ragazzi lavorano tutti per gli israeliani, ma quando succede qualcosa, come quando in tanti si erano rapati a zero, per non far trovare quello che aveva ucciso un colono, scatta la punizione collettiva con l’annullamento dei permessi di lavoro.

Torno a sud, sono con Jamal, i bambini e le pecore, a Jamal è scaduto il permesso di lavoro nel ’48, ci vorrà un mese per poter ricominciare. Meno male, lui non sta bene, il trattore è rotto, qualche bambino ha problemi.

Intanto sono arrivati nuovi volontari per ISM, due sono a Masafer Yatta, dove c’è stato un assalto dei coloni a un villaggio. E al nord, dopo i tre uccisi di tre giorni fa a Nablus, oggi un’incursione al campo profughi di Tulkarem ha lasciato altri due morti. Anche Tulkarem è una situazione nuova, come è stato nuovo l’assalto al campo profughi di Gerico, che rimane sotto assedio. Sembra che l’occupazione sia un po’ spaventata di questo allargarsi della resistenza.

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