Nell’anno più lungo parla solo la violenza

Articolo pubblicato originariamente su Il Manifesto

Tremenda vendetta. Lo choc per l’attacco di Hamas, il lutto per l’uccisione di 1.200 persone e il rapimento di 250. Poi i massacri senza fine di Gaza. Di soluzione politica non parla nessuno, la società israeliana si è assuefatta all’uso della forza come unico linguaggio. Quello di Benyamin Netanyahu

Il giorno dopo l’assassinio del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, ho incontrato una giornalista straniera in un caffè del centro di Tel Aviv. Il caffè era affollato, l’atmosfera era rilassata. «La gente si comporta come se non ci fosse una guerra in corso – mi ha detto – È solo un’apparenza o gli israeliani si sono davvero lasciati alle spalle il 7 ottobre?».

Indubbiamente, uno straniero che arriva in Israele oggi fatica a rendersi conto che Israele si trova nel periodo di guerra più lungo che abbia mai conosciuto. I negozi sono pieni di clienti, è difficile trovare posto in un ristorante, ci sono ingorghi sulle strade.

Ma anche se la vita sembra normale, quest’anno Israele ha subito un cambiamento drammatico. Anche sedersi in un caffè con persone non israeliane è diventato una rarità, poiché la maggior parte delle compagnie aeree straniere sta cancellando i propri voli verso Israele e gli israeliani si sentono come sotto assedio. Solo tre giorni dopo il nostro incontro, l’Iran ha lanciato quasi 200 missili contro Israele e milioni di israeliani hanno trascorso quasi un’ora nei rifugi antiaerei, mentre sentivano forti esplosioni sopra le loro teste. Non è normale.

Questa guerra è iniziata con un attacco a sorpresa di Hamas il 7 ottobre 2023. Nel giro di poche ore, i combattenti di Hamas hanno preso il controllo di decine di chilometri quadrati all’interno del territorio sovrano di Israele, il primo incidente di questo tipo avvenuto dal 1948. Hanno occupato più di dieci basi dell’esercito israeliano, hanno invaso città e kibbutzim e fatto irruzione in un festival musicale lungo il confine, hanno commesso massacri di una portata mai conosciuta prima da Israele: più di 1.200 israeliani sono stati uccisi, di cui almeno 800 civili, 250 israeliani sono stati rapiti e portati a Gaza.

Non tutto è noto di questo attacco. Ci sono stati casi in cui l’esercito israeliano ha sparato contro i suoi stessi civili e ci sono state accuse di numerosi casi di violenza sessuale contro israeliani, durante l’’offensiva di Hamas e successivamente nel corso della prigionia a Gaza.

Israele ha intrapreso un’offensiva il cui livello di distruzione supera quello che abbiamo visto almeno dall’inizio del XXI secolo, forse dalla Seconda Guerra Mondiale. Più di 40mila gazawi sono stati uccisi negli attacchi israeliani dell’ultimo anno, circa il due per cento della popolazione di Gaza. Almeno due terzi delle vittime sono donne e bambini. Israele ha distrutto quasi tutte le infrastrutture di Gaza: scuole, università, strade, ospedali e molto altro. Circa due terzi degli edifici residenziali della Striscia di Gaza sono stati completamente distrutti. Quasi 1,8 milioni di gazawi sono stati costretti a lasciare le loro case e a spostarsi ripetutamente tra tende e strutture di fortuna.

Il Sudafrica ha accusato Israele davanti alla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja di essere responsabile di genocidio nei confronti del popolo palestinese nella Striscia di Gaza, e la corte ha stabilito che queste affermazioni sono «plausibili». Il procuratore generale della Corte penale internazionale dell’Aja ha richiesto mandati di arresto per il primo ministro Netanyahu e il ministro della difesa Galant, sospettati di crimini di guerra, e per i leader di Hamas.

L’assassinio di Nasrallah, che ha fatto seguito a una serie di successi militari israeliani in Libano – l’attacco con i cercapersone, l’uccisione della maggior parte dei dirigenti di Hezbollah e il presunto bombardamento delle scorte di missili di Hezbollah – ha risollevato l’umore in Israele e ha persino creato un’atmosfera di euforia, come se la guerra, iniziata con un’umiliante sconfitta il 7 ottobre 2023, si fosse conclusa con una schiacciante vittoria israeliana contro Hamas, Hezbollah e Iran.

Ma i razzi lanciati dall’Iran, seguiti dalla morte di otto soldati nel primo giorno dell’invasione di terra del Libano e dall’uccisione di sette civili da parte di uomini armati di Hamas a Tel Aviv, hanno riportato gli israeliani alla realtà: la guerra è tutt’altro che finita e potrebbe aggravarsi e trasformarsi in una guerra regionale.

L’esaltazione suscitata dall’assassinio di Nasrallah è l’espressione di uno dei profondi cambiamenti che la società israeliana ha subito nell’ultimo anno: è diventata completamente assuefatta all’uso della forza, e addirittura la santifica. Il giorno dopo l’assassinio, uno dei principali giornalisti israeliani ha alzato un bicchiere di Arak (alcol identificato con il Libano e la Siria) nello studio del canale televisivo più seguito, aggiungendo una benedizione: «Così periscano tutti i tuoi nemici, o Eterno!», un versetto del Libro dei Giudici. Il ministero dell’istruzione ha emanato una raccomandazione alle scuole religiose perché organizzassero feste da ballo in occasione della morte di Nasrallah.

Il militarismo è sempre stato forte in Israele, ma dal 1967 a oggi, in tutte le guerre e intifada, c’erano state voci nella società ebraica che avevano espresso riserve morali sulla violenza esercitata da Israele e anche protestato contro di essa nelle strade. Questo non è accaduto in questa guerra.

I soldati hanno pubblicato sui social media video che li ritraevano mentre facevano esplodere edifici pubblici e impianti idrici, distruggevano le case e ne saccheggiavano il contenuto. I soldati sospettati di aver violentato un detenuto palestinese hanno ricevuto l’appoggio dell’opinione pubblica interna e si sono tenute imponenti manifestazioni in loro favore.

Le inchieste pubblicate dai media israeliani – compreso il sito web presso il quale lavoro, +972/Local Call – sull’uso massiccio dell’intelligenza artificiale per scegliere chi assassinare; i permessi di uccidere decine o addirittura centinaia di civili «non coinvolti» per eliminare un agente di Hamas, anche se giovane; l’uso dei palestinesi come scudi umani per i soldati israeliani nei tunnel di Gaza; la tortura sistematica, a volte fino alla morte, dei detenuti palestinesi – tutto questo è stato accolto con indifferenza dalla società israeliana.

L’espressione più evidente di questo deterioramento morale è il modo in cui vengono considerati gli ostaggi israeliani detenuti a Gaza. Il rilascio dei prigionieri era ritenuto uno dei valori sacri della società israeliana. Netanyahu e il suo governo lo hanno ignorato, pur sapendo che decine di ostaggi sarebbero stati uccisi durante la prigionia, dai loro rapitori o a causa dei bombardamenti israeliani. Invece del rilascio degli ostaggi, Netanyahu ha promosso il valore della «vittoria totale» su Hamas, e ora anche su Hezbollah e persino sull’Iran. A oggi, l’Israele di Netanyahu non ha alcuna capacità o desiderio di raggiungere i propri obiettivi attraverso i negoziati e la diplomazia. Agli occhi di Netanyahu, l’unico modo legittimo di agire è l’uso della forza militare.

Ma non funziona. Un anno dopo l’inizio della guerra, Hamas è stato notevolmente indebolito, ma esiste ancora come forza militare e certamente come forza politica a Gaza, e continua a detenere 101 ostaggi. Nonostante i colpi subiti, Hezbollah continua a lanciare centinaia di missili al giorno, paralizzando il nord di Israele. Per la prima volta dal 1973, Israele potrebbe entrare in una guerra totale con uno Stato sovrano, l’Iran, che non mostra segni di cedimento.

Soprattutto, la società israeliana è stanca e divisa, la sua economia si sta deteriorando e decine di migliaia di cittadini stanno abbandonando il paese in cerca di una vita più tranquilla. Nonostante la dipendenza dal potere militare, molti sentono che Israele è in un vicolo cieco. Le centinaia di migliaia di persone che sono scese in piazza nelle settimane precedenti l’escalation in Libano vedono Netanyahu e il suo governo di estrema destra come un «disastro» che minaccia l’esistenza stessa dello Stato di Israele.

È vero, nessuna forza politica israeliana di rilievo dice la verità di fondo: l’unica via d’uscita dall’impasse e dalla spirale di violenza è una pace giusta con i palestinesi. Se la guerra finirà – ma Netanyahu farà di tutto per prolungarla – queste crepe all’interno della società israeliana potrebbero portarla in un ordine di idee diverso, più adatto alla comprensione dello stato delle cose.

*Giornalista di +972mag

(Traduzione a cura di Federica Riccardi)

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