Voci da Gaza: giorni 311 e 312

Trecentoundicesimo e trecentododicesimo giorno della guerra genocida contro Gaza, dal 10 al 12 agosto 2024

La testimonianza di Zainab Al Ghonaimy, da Gaza sotto bombardamento e assedio

Succede che tra la morte e la non-morte ci sia un capello, ed è la distanza più difficile e dura per la gente di Gaza

La morte è una realtà esistente, compresa e accettata, indipendentemente dal suo motivo e dal desiderio che noi e i nostri cari si rimanga in vita.
Ma ciò che è accaduto e sta accadendo nella Striscia di Gaza è senza precedenti, inaccettabile e difficile da comprendere. È la morte senza morte. Quando non si hanno notizie di qualcuno, se è ancora vivo o morto, è una condizione peggiore della morte e peggiore della perdita sotto le macerie. Il sentimento oscilla tra tristezza e gioia, nei confronti di coloro di cui non si hanno notizie. Ci troviamo quindi tra due estremi, poiché perdiamo la capacità di piangere per la morte o la capacità di gioire per non essere morti ed essere salvi, e non esiste alcun adattamento formale o realistico per questa situazione.

Ciò che per alcune persone è più doloroso e opprimente al punto da spezzare il profondo della loro anima è la loro incapacità di parlare della condizione dei loro cari, sia che sappiano che sono morti, ma senza avere la capacità di esprimere il loro dolore o accettare le condoglianze, oppure se sanno di essere ancora vivi e non possono annunciare la loro gioia, per paura dell’oppressione dell’esercito israeliano e del furto della loro breve gioia.

Decine di massacri sono stati commessi dall’esercito sionista prendendo di mira campi profughi e scuole, rifugi per donne, bambini e uomini sfollati. Ogni singolo missile incendiario uccide dozzine di persone alla volta, e il nemico ha anche utilizzato bombe mortali per colpire le case. Nel massacro avvenuto in questi giorni nella città di Gaza presso la scuola “Al-Tabaeen”, il pilota sionista ha lanciato tre missili incendiari del peso di 2722 chilogrammi, uccidendo più di cento martiri. I loro corpi in fiamme sono stati fatti a pezzi, e nessuno era in grado di identificare la maggior parte di loro. Le squadre della protezione civile sono state costrette a ritirarsi. Le parti dei corpi straziati sono state messe in sacchi senza poterne specificare l’identità o il sesso.

Addirittura per la prima volta, per poter stimare il numero delle vittime, sono stati pesati i resti, calcolando che in media ogni 70 chilogrammi equivalevano ai resti di una persona, sia maschio che femmina. Questa tragedia ha straziato i cuori delle persone, perché il feroce attacco non era affatto previsto, è avvenuto durante i preparativi per la preghiera dell’alba, cosa che ha lasciato la gente confusa: chi è stato martirizzato? La persona amata era lì oppure no? È vivo da qualche altra parte? Era nello stesso posto ed è sopravvissuto, e non riesce a comunicare con loro? Oppure è stato martirizzato ed è rimasto sotto le macerie? Così tante domande ruotano attorno al capello che separa la verità tra la morte e la vita, e quindi una moglie non può essere vedova e moglie allo stesso tempo, e una madre non può piangere e addolorarsi per la persona scomparsa per non portare male se la persona è ancora in vita.

Foto di Majdi Fathi/NurPhoto via Getty Images

Questa crisi e confusione se una persona è viva o morta non è nuova, ma è recentemente peggiorata a causa degli attacchi contro i centri di accoglienza e anche a causa del tipo di bombe utilizzate che bruciano e fanno a pezzi i corpi dei martiri tanto da non poterli riconoscere.

Ricordo uno dei casi precedenti, dall’inizio dell’aggressione sionista a Gaza, quando una donna venne a chiedermi consiglio perché non sapeva come affrontare la sua situazione in quel momento, poiché suo marito era scomparso dal primo giorno. dell’aggressione, e ha provato a cercarlo nelle carceri senza esito soddisfacente, allora mi ha detto: “Chi può darmi un documento attestante che sono rimasta vedova e che non si sa nulla di mio marito? La mia famiglia lo ritiene morto. La famiglia di mio marito lo considera ancora vivo, non so cosa fare e sono confusa!”.

Naturalmente, da un lato si sentiva legalmente persa per la scomparsa di suo marito, e dall’altro chiedeva perché voleva una soluzione nella gestione della sua vita e della vita della sua famiglia per potersi registrare per gli aiuti, perché richiedevano il nome e la carta d’identità del marito e che si presentasse di persona per ricevere gli aiuti.

Un’amica mi ha contattato prima per un motivo simile. Mi ha chiesto informazioni sulle condizioni di suo figlio, non sapeva dove si trovasse un mese dopo l’inizio dell’aggressione. L’edificio in cui vivevano era stato distrutto e lei non sapeva se fosse fuggito ferito o se fosse ancora sotto le macerie. Quindi, lei e gli altri si chiedevano come scoprire la verità se tal dei tali è vivo o morto, e si sentivano tristi e oppressi perché non conoscevano la verità, e tutti ripetevano la stessa frase: “L’importante è sapere se è morto o ancora vivo, e siamo preparati al fatto che sia morto, ma l’importante è saperlo”.

È vero, l’importante è sapere, perché restare nell’oscurità è un’altra guerra contro i vivi che non sono stati toccati dalla morte, perché quella distanza è il capello della verità tra la vita e la morte, che lacera i cuori e le menti e far morire mille volte al giorno la madre, la moglie, il padre e i figli perché impotenti di fronte all’assenza della verità.

 

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