Voci da Gaza: giorno 211

Duecentoundicesimo giorno della guerra genocida contro Gaza, 4 maggio 2024

La testimonianza di Zainab Al Ghonaimy, da Gaza sotto bombardamento e assedio

L’attuale stato di guerra, pace e non pace è il peggiore a causa dell’aggressione sionista

Il settimo mese dell’aggressione sionista israeliana sta volgendo al termine e la popolazione della Striscia di Gaza e della Palestina in generale sta vivendo giorni difficili sul piano psicologico, sociale e politico, oltre alla pressione militare. Non vi è alcun reale progresso nei negoziati in corso per raggiungere un accordo per fermare questa aggressione, poiché i canali di informazione riportano quotidianamente il movimento avanti e indietro delle delegazioni al Cairo, Qatar e Turchia, così come il ruolo americano nelle pressioni sui mediatori arabi, che a loro volta stanno facendo pressioni sul movimento Hamas affinché accetti l’accordo di tregua a condizioni che non garantiscono una cessazione definitiva dell’aggressione.

Ciò che rivela la rigidità del governo di guerra sionista nella sua mancanza di intenzione di raggiungere un accordo concreto è, in primo luogo, la continuazione della devastante aggressione militare su varie aree della città di Gaza, nel nord e nel sud, e l’escalation degli attacchi aerei su tutte le aree della Striscia di Gaza. In secondo luogo, non hanno accettato le condizioni di base avanzate dal movimento Hamas per garantire il ritorno di donne, bambini e uomini sfollati in varie aree della città di Gaza e del nord, la ricostruzione della Striscia di Gaza e la partenza dell’esercito di occupazione da Netzarim, il posto di blocco che separa il sud della Striscia di Gaza dal suo nord. In terzo luogo, la serie di minacce di invadere Rafah si intensifica ogni volta che il movimento Hamas insiste nel chiedere garanzie per l’attuazione dei termini dell’accordo, che pone tutti i cittadini, uomini e donne, sotto forte pressione psicologica e in uno stato di dubbio e perdita perché non sanno quale sarà la situazione il giorno dopo.

La mia amica, che è stata sfollata con la forza a Rafah, dice: “Non sappiamo più come fare nulla, pensiamo sempre al nostro ritorno a Gaza e alla nostra casa. Anche la nostra collega sfollata mi ha chiesto: “Chissà se torneremo, siamo molto stanchi”, e quando le ho risposto che la sua casa non aveva più fondamenta, e dove sarebbe tornata? Lei mi ha risposto: “Per Dio, questa guerra, professoressa, ci ha fatto vedere che tutto si normalizza. Quando la mia casa è saltata in aria, ho detto: ‘Che Dio aiuti le persone che hanno perso i loro cari’, e quelle che hanno perso uno o due figli e ha continuato dicendo: ‘Grazie a Dio, non tutti se ne sono andati’. Metteremo una tenda sulle pietre della casa e ci siederemo in un posto migliore rispetto al caos in cui ci troviamo ora”.

Ogni volta che ci sediamo ad ascoltare le notizie, ognuno di noi si chiede: “Ci sarà un accordo? Le persone sfollate torneranno? Ci sarà una rapida ricostruzione? Ci sarà… ci sarà?”

La mia parente ha detto: “Ho sentito i vicini dire che la ricostruzione inizierà dalle case parzialmente distrutte, e poi le case completamente distrutte”. Sua madre ha risposto immediatamente: “Quindi non abbiamo speranza. Quanti anni ci vorranno per ricostruire. L’intera Striscia di Gaza è devastata”. Ha continuato: “Perché Netanyahu dovrebbe lasciare una pietra in piedi? O permettere alle persone di tornare? Manco per sogno! Questo nuovo Hitler spazzerà via tutte le persone proprio come ha annientato tutte le pietre”.

In effetti, l’oggetto dell’accordo è diventato il discorso del momento, nella Striscia di Gaza dal sud al nord, e tutti i parenti all’estero dicono ad ogni telefonata: “Se Dio vuole, il soccorso è vicino… Eccolo… Si sono riuniti al Cairo. Hamas ha inviato la risposta. No, non ha inviato la risposta. Il governo israeliano si riunirà… pazientate”.

La verità che conosce solo chi ha vissuto sotto questa insidiosa aggressione è, secondo mia madre – misericordia sulla sua anima – che “abbiamo mangiato la pazienza con le sue spine” (il frutto della pazienza o fico d’india), e la gente è arrivata a mangiare dai rifiuti e dalla spazzatura.

Stiamo davvero soffrendo il lato più brutto di questa aggressione, per le molteplici pressioni su di noi, la prima delle quali è la questione dell’accordo: accadrà o non accadrà, e quando? L’oscillazione tra guerra, pace e non pace, che ci rende incapaci di prendere qualsiasi decisione, allevierebbe queste pressioni. Ma rimaniamo pazienti finché non si chiarirà la fine, che speriamo sia buona.

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