Voci dalla Palestina: il tour dei coloni a Hebron

Di Abu Sara

Salire a Tel Rumeida è vietato a tutti gli stranieri, almeno per ora; salgono solo i palestinesi residenti, che sono tutti numerati. Anche altri hanno dovuto fare il giro dalla moschea, come me, ma alla moschea di Abramo ci sono cancelli enormi che vengono chiusi alle 21, la moschea, a cui è già difficile entrare visti i check point e metal detector da attraversare, dopo quell’ora non è più accessibile per la preghiera.

Oggi è il giorno dell’uscita dei coloni per il tour nella città vecchia. Qui sono capitati dei turisti che potrebbero fare i volontari, saliti come me dalla moschea, si sono incontrati per caso (un irlandese, una tedesca e una ungherese) all’ostello che mi avevano indicato ieri sera, è proprio nel mercato, e trovo che alloggerà lì anche Dave, l’americano di ieri che è venuto a khalil con dei compagni di corso.

Scendo al mercato verso le due, per vedere se ci sarà il tour dei coloni. Oltre ai soliti incontri, ci sono quelle di EAPPI, venute pure a seguire il tour (è una organizzazione di volontari legati alle chiese protestanti). Con loro un uomo palestinese con cui ci rendiamo conto di conoscerci da tempo, è sempre stato con i volontari in giro, e lì capita anche Dave.

Lunghe chiacchiere in attesa del tour, arrivano anche dei fotoreporter. Ma non succede niente. Mentre le ragazze si fermano per un thè, noi decidiamo di andare avanti accompagnando alla moschea Dave che non è mai stato qui. Il mio amico palestinese è un vulcano di racconti (è professore) e di scambi con gli stranieri che incontriamo, oggi ce n’è tanti, anche se Leyla si lamenta che sono di quelli che non comprano niente. Tra gli incontri, quello più vicino ai nostri pensieri contro l’occupazione, è una coppia di madrileni, dove però lei è marocchina e lui palestinese!

La moschea ha una novità anche per me: su un lato di questo magnifico monumento c’è un obbrobrio che da noi sarebbe vietatissimo realizzare, un’ascensore in una colonna metallica seguita da un ponte che accede alla moschea! Invece arrivando su Shuada Street mi rendo conto che non c’è più il bordo di cemento che separava il passaggio dei palestinesi, stretto, dal resto della strada per gli ebrei. Qui pare che le pressioni internazionali con la possibile accusa di apartheid abbiano fatto effetto; anche se, poco più in là, c’è ancora la cancellata alta con la stessa divisione. Così ci accorgiamo che il tour sta per cominciare, direttamente nella città vecchia. È il percorso da cui di solito escono. Arrivano di corsa tre jeep di soldati, e cominciano ad arrivare i coloni. Avvisiamo i fotoreporter della novità e torniamo indietro ad aspettarli. Attraverso angoli suggestivi della città vecchia, ecco il gruppo, saranno una cinquantina, con altrettanti soldati, davanti e dietro, che fanno largo in avanti allontanandoci continuamente. Procedono lentissimi, ogni tanto lasciano passare qualcuno, più spesso spingono via. Mentre sono fermi a un incrocio tra viuzze, un incontro pittoresco: un grosso gruppo di musulmani inglesi, sono di tutte le tonalità tranne il bianco, e vestiti ognuno secondo la sua tradizione. Intanto i coloni si stanno raccontando le loro menzogne su Hebron. Eppure anche nelle loro biblioteche ci sono libri con l’elenco delle famiglie palestinesi che nel ’29 nascosero gli ebrei per sottrarli alle violenze. E sicuramente raccontano che Abramo appartiene a loro e non a tre religioni, e che si riprenderanno tutta la città vecchia. I bambini si divertono, sembra come un circo, ridono anche di questi soldati, anche ragazze, carichi di armi, di bombe, di radiotelefoni.

L’ultimo, come in una spedizione di guerra, ha anche nello zaino una barella pieghevole, evidentemente un ferito grave è il massimo che abbiano pensato!

Sono ridicoli anche per le differenze enormi di altezza e di larghezza, quelli che portano le bombe sonore, un ragazzo e una ragazza, sono ambedue piccoli e larghi, con di fianco uno altissimo e magrissimo. In qualche modo il tour finisce, e io risalgo a YAS dalla moschea, a trovare una porzione di Maqluba che mi hanno conservato.

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