Biden firma il certificato di morte dei palestinesi

Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Di Gideon Levy*

All’Ospedale Augusta Victoria di Gerusalemme Est, tra tutti i luoghi, il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha firmato un certificato di morte. La soluzione dei due Stati è morta molto tempo fa, e ora lo è anche la scelta strategica dei palestinesi di fare affidamento sull’Occidente nella loro lotta per i loro diritti nazionali.

Questa speranza è spirata all’Ospedale Augusta Victoria. Nel suo discorso Biden ha riflettuto a lungo sul tempo suo e della sua famiglia trascorso in ospedale; ha ricordato il reparto di terapia intensiva. Lì scopri che una linea piatta sul monitor significava morte. Circa un’ora dopo, a Betlemme, il monitor si è spento. Il percorso intrapreso dai palestinesi 50 anni fa è giunto al termine. Sono davanti a un vicolo cieco.

Agli inizi degli anni ’70 nel firmamento politico compare una nuova stella: il cardiologo Issam Sartawi, un rifugiato di Acri, studente in Iraq, esule a Parigi e artefice dei dirottamenti aerei. Ha subito un completo cambiamento. È diventato l’avanguardia dei palestinesi nel cuore dell’Occidente; fino ad allora avevano fatto affidamento su Paesi non allineati. Sartawi guidò i palestinesi a Bonn, Vienna, Parigi e Stoccolma invece che a Mosca, Giacarta, Delhi e Kuala Lumpur.

Questa è stata descritta come una scelta eccellente. Il protetto e persino il preferito dei maggiori esponenti socialdemocratici dell’Europa occidentale di quei giorni: Willy Brandt, Bruno Kreisky, Olof Palme e François Mitterrand, arrivò al cuore degli israeliani. Sartawi ha iniziato incontrando i rappresentanti della sinistra israeliana. Yasser Arafat si è unito con entusiasmo al percorso tracciato dal suo consigliere. Sembrava molto più promettente che ottenere il sostegno di Karachi.

Cinquant’anni dopo questo percorso è giunto al termine, con i palestinesi sanguinanti a terra. Un Presidente americano concede loro solo un breve incontro, in una visita che dà un nuovo significato ai termini facendo il minimo, e solo a parole. Quindi è giunto il momento di risvegliarsi dal sogno che l’Europa e l’America faranno mai qualcosa per i palestinesi che non sarà soddisfacente per il loro intoccabile amato, Israele.

È un Presidente che non si preoccupa di pronunciare correttamente il nome di Shireen Abu Akleh, la giornalista uccisa quasi sicuramente da Israele, diventando un simbolo nazionale e internazionale. Jamal Khashoggi lo sa come si pronuncia. I palestinesi non hanno più nulla da cercare in quest’arena. Quando Biden ha citato una poesia che dice come “speranza e storia fanno rima” e ha donato loro 100 milioni di dollari/euro per l’Augusta Victoria, è stato chiaro che con gli Stati Uniti è finita.

Con un Presidente americano che promette loro una soluzione a due Stati, ma “non a breve termine”, si arriva alla fine della storia. Vogliamo chiedere a Biden: Cosa accadrà “non a lungo termine” per raggiungere questa soluzione? Gli israeliani decideranno da soli? I coloni torneranno da soli? Quando ce ne saranno un milione invece di 700.000, questo li soddisferà?

L’America la penserà mai diversamente? Perché dovrebbe succedere? Con le leggi contro il BDS e le nuove e distorte definizioni di antisemitismo, gli Stati Uniti e l’Europa sono persi per quanto riguarda i palestinesi. La battaglia è stata decisa, Israele li ha quasi sconfitti e il loro destino potrebbe essere lo stesso dei popoli nativi americani.

Basta guardare l’immagine dell’incontro a Betlemme: dodici tristi uomini palestinesi al seguito dei due leader in una foto di gruppo che ritrae la disperazione. Basti ricordare le parole di Biden nel 1986 al Segretario di Stato dell’epoca, George Shultz: “Odio sentire un’amministrazione che si rifiuta di agire su un punto moralmente importante. Mi vergogno che questo Paese proponga una politica come questa, che non dice assolutamente nulla”.

Biden si riferiva alla politica degli Stati Uniti sul precedente Paese dell’Apartheid, il Sud Africa. Osservazioni sorprendentemente simili possono essere lanciate ora a Biden a causa del suo approccio al secondo Paese dell’Apartheid. Ma non c’è nessun Biden che lo faccia.

*Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

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