I coloni israeliani prendono di mira l’anello più debole mentre la pulizia etnica diventa politica

Articolo pubblicato originariamente suhttps://archive.md/xMxGj Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto

Di Gideon Levy

https://archive.md/xMxGj

Lontano dalla vista, ai margini di un cortile buio, è in corso la Pulizia Etnica. Ciò che fino a pochi mesi fa sembrava una serie casuale di episodi di violenza commessi da coloni crudeli che tormentavano i loro vicini per puro sadismo, tra cui il pestaggio di vecchi e bambini con spranghe di ferro, sta crescendo davanti ai nostri occhi ciechi raggiungendo dimensioni mostruose. Non si tratta più di una serie di episodi sporadici e casuali; ora è una politica, con il governo che la sostiene o chiude un occhio. Non si può più ignorarlo o restare in silenzio. Si presenta come una Pulizia Etnica, agisce come tale ed è quello che è.

Negli ultimi tre mesi ho visitato tre comunità di pastori che avevano dovuto abbandonare i loro villaggi in Cisgiordania per paura dei coloni. Ce ne sono stati altri. Tre piccoli villaggi hanno ceduto e sono stati evacuati, le loro comunità disperse ai venti. Migliaia di dunam/kmq di terra sono stati “epurati” e occupati dai coloni criminali.

A maggio è toccato alla comunità di Ein Samia, 200 persone tra cui bambini, costretti a fuggire per salvarsi la vita dal terrorismo dei coloni provenienti dagli avamposti eretti sotto l’insediamento di Kochav Hashahar. A luglio è stata la volta di una comunità di pastori a Khirbet Abu Widad, in fuga dai coloni di Havat Meitarim. Questa settimana ho visitato i pastori sfollati da al-Baqaa, che erano fuggiti dalla terra in cui avevano vissuto per quarant’anni. Questa volta sono stati i coloni di Mitzpeh Hagit, Neveh Erez e Mitzpeh Dani a spingerli alla fuga. La persecuzione è stata incessante, intensificandosi da quando l’attuale governo è salito al potere, e questo è il risultato.

Affinché i pastori che vivono in condizioni arcaiche, senza acqua corrente, elettricità o servizi minimi, decidano di lasciare i loro villaggi, deve accadere qualcosa di veramente drammatico. Queste persone, pastori tenaci e bruciati dal sole che conducono una vita dura, vivono in queste comunità da decenni, vi sono nati e lì hanno cresciuto i loro figli, hanno deciso un giorno di arrendersi e di andarsene, di abbandonare il credo del Sumud (Fermezza) che era stato scolpito nelle anime palestinesi nel 1948, nella speranza che ciò non accadesse mai più. Raccontano tutti la stessa storia: non ce la facevamo più, con gli attacchi, i furti, le invasioni, le minacce ai bambini, con i droni, i trattori, i blocchi, il tutto con l’appoggio dall’esercito. I coloni si scatenano, con i soldati che li proteggono. L’IDF non potrà mai dichiararsi innocente e sostenere che i suoi soldati non hanno preso parte alla crescente Pulizia Etnica.

Non è un caso che facciano tutti parte di comunità di pastori beduini. Sono loro il primo obiettivo del grande progetto di trasferimento. Questa è l’invasione di prova prima della Seconda Nakba, che sta prendendo forma nelle menti di più israeliani di quanto si possa immaginare, come una “soluzione finale” alla “questione palestinese”. Se questi termini sembrano agghiaccianti, è perché lo sono.

I coloni hanno preso di mira per prime le comunità di pastori, poiché sono alla base della catena alimentare palestinese. Sono l’anello più debole, quello più indifeso. Non hanno nessuno a cui rivolgersi, né la polizia, né l’esercito, né l’Autorità Palestinese. Non hanno mai creato una forza di Resistenza, nemmeno quella più piccola, come hanno fatto i campi profughi.

Tutto il loro mondo ruota intorno alla cura delle loro greggi e alle dure condizioni della loro vita, tra cui procurarsi l’acqua, seminare il grano, stare al caldo in inverno, mandare i figli in una scuola lontana. Nessuno li difende, nessuno è interessato alla loro sorte tranne pochi valorosi attivisti israeliani. I coloni possono dominare su questi più deboli tra i deboli. Qui è dove provano i loro metodi prima di sferrare la vera offensiva.

Ma la realtà è già alle porte. Mai prima d’ora, in tutti gli anni dell’Occupazione, si era verificato un abbandono dei villaggi da parte dei palestinesi in tali proporzioni. È vero che, rispetto ai 3 milioni di abitanti della Cisgiordania, queste sono solo gocce nel mare. Ma queste sono gocce premonitrici, che annunciano il futuro. Per espellerli tutti ci vuole un Armageddon. Per epurare la Valle del Giordano, le colline a Sud di Hebron e l’area centrale attorno agli insediamenti della Cisgiordania, tutto ciò che serve sono poche centinaia di teppisti che tormentino incessantemente i loro residenti. È palese che questo è l’inizio di una vera e propria Pulizia Etnica.

Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.

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