Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto
Di Gideon Levy
Un bambino di circa tre anni è uscito di casa mercoledì mattina, per la prima volta in due giorni, con la madre e la nonna. La mano di sua madre in una mano, una pistola giocattolo nell’altra. La strada era ancora semideserta, solo pochi residenti avevano osato uscire e quelli che erano rimasti sembravano sconvolti. Un terribile silenzio aleggiava sulla strada semidistrutta, la quiete che si sente sempre dopo la tempesta. Il bambino ha lanciato uno sguardo leggero al mucchio di macerie sul lato di quella che era stata una strada asfaltata e ora era una pista sterrata. Era silenzioso, e anche sua madre. Questo servizio è andata in onda mercoledì su Al-Jazeera, che trasmette ininterrottamente dal campo profughi di Jenin.
L’ex soldato israeliano Dubi Kurdi questa volta non ha trasformato il campo nel Teddy Stadium di Gerusalemme con il suo escavatore, poiché si era vantato del ciclo di distruzione precedente nel 2002. Più di 500 case non sono state distrutte, come lo furono allora, nell’Operazione Difensiva Scudo, e anche il numero dei cadaveri era relativamente basso. Ma il bambino uscì, in strada, tenendo la mano di sua madre, e la sua espressione diceva tutto. Forse era il bambino del video girato il giorno prima in una delle case del campo: in una scena orribile che potrebbe provenire da un periodo oscuro della storia, soldati armati e in assetto da combattimento irrompono in una piccola casa. A tutti viene ordinato di alzare le mani. Un soldato punta il fucile contro donne e bambini, e un urlo di terrore squarcia l’aria. Taglio. Il video finisce, ma i bambini non dimenticheranno. Non dimenticheranno mai quello che hanno sopportato questa settimana.
Questi bambini sono i nipoti e i pronipoti di Arna. Quando è uscito il meraviglioso film di Juliano Mer-Khamis “I Figli di Arna”, sui bambini cresciuti da sua madre del campo che ha esposto nel suo progetto teatrale, il suo creatore era ancora vivo. Juliano è stato assassinato, ma il suo film rimane. Va mostrato prima e dopo ogni “Operazione” militare israeliana nel campo di Jenin, prima e dopo l’insopportabile pioggia di elogi che una legione di generali e analisti riversa sull’azione, sempre diversa, più chirurgica e riuscita di, tutti i suoi predecessori.
Tre ragazzi hanno recitato nel documentario: Ala, Yousef e Ashraf. Per circa un decennio, Mer ha seguito i bambini con cui lavorava sua madre. Ha filmato il piccolo Ala seduto, stordito, sulle rovine della sua casa, lo sguardo che si muove qua e là, come se cercasse conforto e riparo. Ala el-Sabagr divenne in seguito il comandante delle Brigate dei Martiri di Al-Aqsa nel campo. Nel novembre 2002, due settimane dopo la nascita del suo primo figlio, i soldati israeliani lo uccisero e nel film si vede una fotografia del suo corpo carbonizzato.
Il piccolo Ashraf sognava di interpretare Romeo. Nel film lo si vede frugare tra le macerie della casa di Ala, nel tentativo di recuperare oggetti ancora intatti. Nel film, Ala racconta la storia dell’uccisione del suo amico Ashraf, poche settimane prima che lui stesso morisse nella Battaglia di Jenin. Il terzo ragazzo, Yousef, era in classe quando un proiettile israeliano è arrivato nella stanza. Ha portato via il corpo di una delle ragazze morte; da adulto, ha compiuto un attacco armato nella città israeliana di Hadera, ed è stato ucciso. Dei figli di Arna, Zakaria Zubeidi è l’unico maschio a sopravvivere. È stato incarcerato in Israele per molti anni.
Mercoledì i nipoti e i pronipoti di Arna sono usciti, nella strada in rovina. Il campo di Jenin è un campo profughi, i cui residenti sono stati costretti a fuggire dalle loro case questa settimana senza sapere quando o se sarebbero tornati, rifugiati momentanei per la terza o quarta volta.
Il gruppo di corrispondenti militari autorizzati dall’IDF che l’esercito ha portato a visionare il proprio lavoro non ha visto palestinesi nei vicoli. In Israele non hanno menzionato i 20.000 residenti del campo che hanno sopportato difficoltà senza precedenti causate da Israele, come i loro genitori e nonni prima di loro. In Israele non hanno detto che il campo di Jenin è la casa di decine di migliaia di persone la cui giusta lotta grida al cielo, esattamente come la loro sofferenza. E ancora una volta, l’IDF ha trattato questa casa in un campo di battaglia.
Qui i figli di Arna sono cresciuti e sono diventati combattenti per la libertà, “terroristi” nel linguaggio della propaganda israeliana, e qui i nipoti e pronipoti di Arna ora cresceranno verso lo stesso futuro, lo stesso destino.
Gideon Levy è editorialista di Haaretz e membro del comitato editoriale del giornale. Levy è entrato in Haaretz nel 1982 e ha trascorso quattro anni come vicedirettore del giornale. Ha ricevuto il premio giornalistico Euro-Med per il 2008; il premio libertà di Lipsia nel 2001; il premio dell’Unione dei giornalisti israeliani nel 1997; e il premio dell’Associazione dei Diritti Umani in Israele per il 1996. Il suo nuovo libro, La punizione di Gaza, è stato pubblicato da Verso.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…