La task force israeliana che espelle gli attivisti stranieri dalla Cisgiordania

Articolo pubblicato originariamente su +972 Magazine. Traduzione a cura della redazione di Bocche Scucite. Foto ci copertina: un soldato israeliano ferma e interroga attivisti internazionali nel villaggti di at-tuwani in Cisgiordania, 20 ottobre 2024.(Avishay Mohar/ActiveStills)

I volontari di Solidarność descrivono interrogatori minacciosi, false accuse e rapidi ordini di espulsione da parte di una nuova unità di polizia istituita da Ben Gvir.

Di Oren Ziv

Nelle ultime settimane Israele ha intensificato gli sforzi per ostacolare il lavoro degli attivisti della solidarietà internazionale nella Cisgiordania occupata, in particolare quelli che sostengono i palestinesi durante la raccolta delle olive. Dall’inizio di ottobre, otto attivisti stranieri sono stati arrestati; cinque di loro sono stati successivamente espulsi o costretti a lasciare il Paese, mentre agli altri tre è stato vietato l’accesso alla Cisgiordania per periodi di tempo variabili.

Le detenzioni rappresentano un’escalation delle restrizioni israeliane all’accesso internazionale al territorio occupato, una politica ora facilitata da una speciale “task force” creata ad aprile dal ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. Questa task force, che ha come obiettivo specifico gli attivisti stranieri in Cisgiordania, opera sotto l’unità centrale di polizia israeliana di Shai (Cisgiordania) e si coordina con l’Autorità per la popolazione e l’immigrazione per accelerare le detenzioni e le deportazioni.

La task force è stata istituita poco dopo che l’amministrazione Biden e altri governi stranieri hanno iniziato a imporre sanzioni contro i coloni israeliani violenti e le organizzazioni di coloni, e sembra essere una risposta diretta a tale provvedimento. Secondo i dati del Fondo per i difensori dei diritti umani, 15 attivisti stranieri per i diritti umani sono stati arrestati e poi deportati o costretti a lasciare il Paese sotto l’autorità della task force.

+972 ha parlato con alcuni di questi attivisti, che hanno raccontato di minacce, intimidazioni e false accuse durante gli interrogatori da parte degli agenti di sicurezza israeliani. Molti dicono di essere stati accusati di essere “terroristi”, “odiatori di Israele”, “sostenitori di Hamas” e di voler “attaccare ebrei e soldati”. In alcuni casi, la polizia ha presentato loro delle fotografie che rivelano che controlla da vicino gli attivisti sia sul campo che attraverso i loro social media, alla ricerca di tutti i possibili motivi per trattenerli ed espellerli.
Un avvocato che rappresenta alcuni degli attivisti ha dichiarato a +972 che la polizia non aveva prove sufficienti per prolungare la detenzione degli attivisti o per presentare un’accusa contro di loro nell’ambito di un procedimento penale. Per questo motivo sono stati rapidamente trasferiti all’Autorità per la popolazione e l’immigrazione, un braccio del Ministero dell’Interno, dove la soglia per il rifiuto del visto o l’espulsione è più bassa.

Dal 7 ottobre, un numero sempre maggiore di internazionali si è recato in Cisgiordania per svolgere attività di “presenza protettiva”, unendosi a organizzazioni come l’International Solidarity Movement (ISM) e Faz3a. Questi gruppi assistono pastori e agricoltori palestinesi nelle aree rurali, con l’obiettivo di scoraggiare e documentare la violenza militare e dei coloni che serve a sfollare con la forza i residenti locali.

Gli attivisti stranieri che cercano di entrare in Cisgiordania devono passare attraverso i controlli di frontiera di Israele, di solito attraverso l’aeroporto Ben Gurion vicino a Tel Aviv o il valico di Allenby con la Giordania, ed entrare con un visto turistico. Se al confine le autorità israeliane concludono che lo scopo della visita è quello di partecipare ad attività di solidarietà con i palestinesi, agli stranieri può essere impedito l’ingresso.

A marzo, una sottocommissione del Comitato per gli Affari Esteri e la Difesa della Knesset – convocata dal deputato del Partito Sionista Religioso Zvi Sukkot, egli stesso legato agli attacchi dei coloni contro i palestinesi prima di diventare un politico – ha tenuto una discussione intitolata “Attività di agitazione degli attivisti in Giudea e Samaria”, usando il termine biblico per la Cisgiordania. Durante la discussione, il comandante dell’unità centrale di polizia di Shai, Avishai Moalem, ha affermato che la metà delle denunce presentate dai palestinesi contro i coloni israeliani dall’inizio della guerra sono state considerate false. Ha inoltre affermato che le denunce sono principalmente opera di “anarchici e organizzazioni di estrema sinistra”.

Secondo Moalem, queste lamentele fanno parte di un “ampio fenomeno” che disturba l’esercito e ne danneggia l’immagine. A riprova di ciò, ha indicato le sanzioni straniere imposte a diversi coloni nell’ultimo anno.

La task force speciale, a cui Ben Gvir ha fatto riferimento come “la squadra che si occupa degli anarchici”, è stata istituita il mese successivo. Il ministro ha spiegato che la sua istituzione era “coerente con la mia chiara politica di lotta ai facinorosi”, aggiungendo: “La mia concezione è di tolleranza zero per coloro che danneggiano la sicurezza, i coloni e lo Stato di Israele”.

Cercavano di incastrarci come sostenitori di Hamas, ma non era vero”.

Due attivisti tedeschi – M., 20 anni, e L., 24 anni – sono stati arrestati il 2 ottobre nelle colline meridionali di Hebron, nelle terre private della famiglia Huraini nel villaggio di At-Tuwani (i due hanno chiesto l’anonimato per paura di ripercussioni legali o di sicurezza in Germania).

Parlando con +972, hanno spiegato che un colono israeliano armato li ha avvicinati e ha chiesto i loro passaporti. Gli attivisti hanno rifiutato, dubitando dell’autorità dell’uomo che non indossava l’uniforme, e hanno atteso l’arrivo dell’esercito. Più tardi, in tribunale, la polizia israeliana ha affermato che l’uomo era un soldato.

Dopo essere stati trattenuti sul campo, gli attivisti sono stati portati alla stazione di polizia di Hebron e successivamente sotto la custodia dell’Unità Shai, vicino all’insediamento di Ma’ale Adumim. Non sono stati interrogati, ma portati direttamente in un tribunale penale.

La polizia ha detto alla corte di cosa erano accusati gli attivisti: appartenenza a un’organizzazione proibita (l’ISM, che non è nella lista ufficiale delle organizzazioni proibite del governo); identificazione o sostegno a un’organizzazione terroristica (dato che il fascicolo rimane segreto fino a quando non viene presentata un’accusa, non è chiaro su quali basi); e ostruzione di un soldato durante l’esercizio delle sue funzioni (cioè, per non aver consegnato immediatamente i loro passaporti al colono). Il tribunale ha ordinato che gli attivisti restino in detenzione fino all’interrogatorio del giorno successivo da parte dell’Unità Shai.

“Mi hanno chiesto se ero un membro di qualche organizzazione terroristica o se conoscevo persone che lo erano, e perché mi trovavo in Israele”, ha raccontato M.. Gli interrogatori hanno presentato a M. una fotografia che lo ritraeva durante una protesta a Ramallah. “Hanno stampato uno screenshot da Facebook e mi hanno chiesto se conoscevo le persone, cosa stavo facendo lì, se sapevo che si trattava di un’assemblea illegale e legata a un’organizzazione terroristica”.

M. ha avuto il suo secondo interrogatorio più tardi quel giorno. “Hanno stampato una presentazione con le foto di 10 persone diverse”, ha raccontato. “Mi hanno chiesto se conoscevo queste persone, se conoscevo l’ISM o se ero associato a loro. Il mio secondo interrogatorio riguardava esclusivamente l’ISM, e mi hanno detto che si trattava di un’organizzazione illegale che sostiene Hamas”.

A L. è stata presentata la stessa serie di foto, che includevano immagini tratte dai social media. Una volta tornati in Germania, gli attivisti hanno scoperto che le foto provenivano da uno slideshow creato dal media israeliano di destra Hakol Hayehudi, che +972 ha verificato.

“A un certo punto ci hanno fatto anche domande politiche, come se riconosciamo il diritto di Israele a esistere, cosa pensiamo del 7 ottobre, e domande politiche personali che non riguardano il nostro caso”, ha spiegato L..

M. ha raccontato che le persone che la interrogavano non indossavano mai l’uniforme e cercavano di accedere al suo telefono. “Dal primo momento in cui siamo arrivati alla stazione di polizia di Shai, ci hanno chiesto la password del cellulare e noi abbiamo rifiutato. In seguito, ho scoperto che in realtà hanno usato Cellebrite [un’azienda tecnologica che produce software di sorveglianza] per entrare nel mio telefono. Hanno stampato dei fogli con delle foto che riportavano la parola ‘Cellebrite’ e mi hanno detto di averle trovate nella galleria del mio telefono.

“Sono sicuro al 100% che, tranne due foto, tutte le altre che mi hanno mostrato non sono state scattate da me”, ha continuato L.. “E sono abbastanza sicura che le abbiano screenshottate dai social media. Alcune avevano anche il logo di Instagram. Si trattava di materiale che i gruppi mettevano sui social media per diverse manifestazioni in tutto il mondo, come una manifestazione che segnava un anno dal 7 ottobre. Ce n’era anche una in francese – io non capisco il francese, e gliel’ho detto”.

Secondo L., l’obiettivo dell’interrogatorio era chiaro: “Hanno cercato in tutti i modi di incastrarci come sostenitori di Hamas ed era ovvio che volessero farci qualcosa o farci uscire dal Paese. Ma non era vero”.

Nella seconda udienza in tribunale a Gerusalemme, il 3 ottobre, il rappresentante della polizia ha dichiarato che l’“organizzazione illegale” di cui i due attivisti sono sospettati di far parte è l’ISM, affermando che è illegale sia in Israele che in Cisgiordania. La loro detenzione è stata prolungata di tre giorni.

Dopo cinque giorni di carcere, i due hanno “accettato” di andarsene, rendendosi conto che l’espulsione era inevitabile. “Gli agenti di polizia e le guardie carcerarie ci hanno trattato come nemici dello Stato”, ha detto L., descrivendo la pressione psicologica che hanno subito. “Siamo consapevoli che, rispetto ai prigionieri palestinesi, le nostre condizioni non erano nulla. Ma abbiamo comunque avuto la sensazione di essere trattati male per farci pressione. Per le prime 24 ore non abbiamo ricevuto cibo”.

Due ore dopo che i tedeschi sono stati deportati in Giordania attraverso il valico di Allenby, Ben Gvir ha twittato una foto degli attivisti con i volti sfocati, scattata da un poliziotto israeliano poco prima che fossero portati al valico. Il ministro ha affermato che erano stati arrestati all’interno di un insediamento, cosa non vera.

Il post recitava: “2 anarchici sostenitori del terrorismo con cittadinanza tedesca – sono entrati alla vigilia di Rosh Hashanah in un insediamento agricolo residenziale nelle colline di Hebron Sud, [dove] hanno disturbato e si sono scontrati con i soldati. Una squadra speciale che ho istituito nella Polizia israeliana non appena è scoppiata la guerra ha agito con decisione e rapidità per arrestarli e deportarli attraverso il valico di Allenby, e per impedire loro di entrare nuovamente nel territorio di Israele. Solo così funziona!”.

“La nostra reazione iniziale è stata quella di essere molto contenti che [i nostri volti fossero] censurati”, ha spiegato M.. “Ma è stato comunque scioccante vederlo: non ci aspettavamo che una figura di così alto livello postasse questo sul proprio account. Ha più di 200.000 follower. Quindi può essere un problema serio per noi”.

Pochi giorni prima, il 10 ottobre, nello stesso punto in cui sono stati arrestati i due tedeschi, Michael Jacobsen, americano di 78 anni e membro dell’organizzazione Veterans For Peace (VFP), è stato arrestato da un soldato di riserva israeliano. Jacobsen era arrivato in Cisgiordania una settimana prima come parte della delegazione internazionale Meta Peace Team (MPT) e stava facendo volontariato con l’ISM.

Secondo Jacobsen, il soldato gli ha detto che era ricercato dalla polizia per “aver messo in pericolo il pubblico” e “essere entrato illegalmente nel Paese”, a causa del suo presunto coinvolgimento nel movimento BDS, ed è stato poi portato all’unità Shai. “L’interrogatore ha detto che ero membro di cinque organizzazioni terroristiche: BDS, ISM, MPT, VPT e la Freedom Flotilla Coalition”, ha raccontato Jacobsen a +972. “Aveva un articolo di un evento a cui avevo partecipato quando ero in Corea del Sud nel 2012”.

Dopo l’interrogatorio, l’avvocato di Jacobsen gli ha detto che la polizia non aveva un caso contro di lui, ma che “sarebbe rimasto in prigione durante lo Yom Kippur. Direi che mi hanno costretto a uscire perché non mi hanno dato un’altra possibilità; le guardie armate mi hanno detto di salire in macchina”. È stato quindi condotto al valico di Allenby. “Ho provato la suprema ironia di essere chiamato terrorista in quanto veterano per la pace, [e] da un’organizzazione che commetteva costantemente atti terroristici”.

“Vi cacceremo da Israele per sempre”.

Il 15 ottobre, Jaxson, ebreo americano di 22 anni, e Anthony Chung, coreano americano di 26 anni, sono stati arrestati dopo che i soldati israeliani avevano impedito a decine di agricoltori palestinesi e di attivisti della Faz3a di raccogliere le loro olive su terreni privati palestinesi tra i villaggi di Jorish e Qusra, a sud-est di Nablus.

“Stavo camminando verso la strada principale e i soldati mi hanno urlato di fermarmi”, ha raccontato Jaxson. “Mi hanno chiesto quale fosse il problema e mi hanno chiesto il passaporto. Erano presenti anche due coloni che urlavano e filmavano”. Ai due è stato detto che non erano autorizzati a stare nell’area e sono stati ammanettati.

“Abbiamo detto: “Sapete bene che se è una zona militare chiusa, dovete mostrarci i documenti””, ha spiegato Jaxson. “Uno dei soldati ha tirato fuori un pezzo di carta, che mi ha mostrato da diversi metri di distanza, e io non conosco nemmeno l’ebraico. Ho chiesto di poterlo vedere più da vicino, ma la polizia aveva già iniziato ad arrestarci. Sono stati piuttosto aggressivi; mi hanno sbattuto contro un albero e hanno iniziato a perquisirmi”.

I due sono stati arrestati alle 10 del mattino e sono arrivati alla stazione di polizia di Shai intorno alle 15. Sul campo è stato detto che avevano ostacolato un funzionario pubblico, ma alla stazione di polizia sono state aggiunte altre accuse: violazione di una direttiva legale, ingresso in un’area chiusa e identificazione o sostegno a un’organizzazione terroristica.

Nonostante la task force speciale sia stata istituita per trattare con gli stranieri, tutti gli attivisti che hanno parlato con +972 hanno affermato che i loro interrogatori non parlavano inglese e che gli interrogatori venivano condotti con l’assistenza di un traduttore portato dalla polizia, di persona o tramite una chiamata WhatsApp. “Attraverso l’interprete, le domande erano anche molto confuse”, ha spiegato Jaxson.

Secondo Jaxson, l’interrogatorio non si è concentrato sul suo arresto. “Mi hanno chiesto se ero membro di qualche organizzazione, ma non hanno fatto nomi specifici. In pratica mi hanno chiesto chi ci dice dove andare per il raccolto, chi è il responsabile, chi possiede tutti gli ulivi – cose che non so”.

“Mi hanno chiesto se ero stato a manifestazioni pro-Hamas e anti-Israele, e ho risposto di no”, ha continuato Jaxson. “Mi hanno letto di cosa ero accusato. Poi l’interrogatore mi ha detto: ‘Stai mentendo, sei venuto in Israele per attaccare gli ebrei e fare terrorismo, e noi ti espelleremo dal Paese’”.

A questo punto, gli interrogatori hanno presentato a Jaxson delle fotografie che rivelavano che era stato seguito per mesi dal suo arrivo in agosto. “Sembra che abbiano raccolto [foto] dall’inizio del mio soggiorno qui fino a un paio di giorni fa”, ha spiegato. “È difficile dire se si tratta di qualcosa che è successo fin dall’inizio o di un’indagine retroattiva, ma in ogni caso hanno scavato molto. In pratica avevano qualcosa dal primo giorno in cui sono andato da qualche parte e hanno lavorato fino ad oggi”.

“Era una combinazione di immagini della stampa, una foto che credo sia stata scattata dalla polizia o forse dall’esercito, e una foto fornita da uno dei coloni, perché ricordo che l’aveva scattata con la fotocamera di un telefono. È stato un po’ scioccante. Non sapevo di essere così importante”.

Poiché Jaxson si rifiutava di ammettere le accuse, l’approccio dell’agente nei suoi confronti divenne più duro. “Non si trattava più di un interrogatorio, ma di essere sgridati quando non dicevo la cosa giusta secondo loro. Gli interrogatori si arrabbiavano soprattutto quando non ero d’accordo con la loro frase “attaccare gli ebrei o l’esercito””.

Dopo l’interrogatorio, uno dei poliziotti ha portato Jaxson a farsi fotografare davanti a una bandiera israeliana mentre era ammanettato – una forma sempre più comune di punizione e umiliazione per i detenuti dal 7 ottobre, solitamente riservata ai palestinesi. Mentre aspettavamo, mi ha guardato e mi ha detto: “Benvenuto in Israele”. Non ho risposto, perché non ero sotto interrogatorio. Poi ha detto: ‘Sei un anarchico?’ e ‘Noi eravamo qui prima di te, e Israele sarà qui dopo di te’, prima di aggiungere ‘Ti cacceremo da Israele per sempre’”.

Per Chung, l’intero processo di detenzione e interrogatorio è stato un’esperienza altrettanto traumatica. “Nonostante le accuse riguardassero la mia attività di quel giorno, al netto delle accuse di sostenere un’organizzazione terroristica, tutte le domande che mi hanno fatto riguardavano soprattutto come sono arrivato qui, cosa ho fatto, dove sono stato, con quale organizzazione sono”, ha raccontato.

“Alla fine, le domande si sono intensificate fino a chiedermi in quali posti sono andato, se ho attaccato persone ebree, se sono stato violento con gli agenti di polizia, se sono stato a una manifestazione che sostiene Hamas”, ha continuato Chung. “Ho risposto di no a tutte queste domande; nessuna di queste cose è vera o basata sulla realtà”.

Alla fine la polizia ha chiesto a Chung della sua presenza a Ramallah e, dopo che non ha risposto, gli ha presentato una foto di “qualcuno che sembra essere me che tiene o [sta] dietro uno striscione di una manifestazione a Ramallah”. Gli hanno detto: “Hai mentito – eri a questa manifestazione che sostiene Hamas”.

“Ho detto alla traduttrice: ‘Non sono andato a una manifestazione che sostiene Hamas’”, ha detto Chung. “Da quello che ho capito, si trattava di una marcia che si svolge ogni giorno [nel centro di Ramallah], alla quale ho partecipato perché volevo mostrare rispetto per la perdita di vite innocenti a Gaza. Quindi non so perché quella foto avrebbe dovuto segnalarmi come terrorista”.

“A un certo punto hanno smesso di farmi domande”, ha proseguito. “Mi hanno solo detto che sono un bugiardo e un terrorista, che dovrei essere cacciato da questo Paese e che faranno in modo che ciò accada”.

Più tardi, quel giorno, i due attivisti americani sono stati portati dalle autorità israeliane per l’immigrazione vicino all’aeroporto. Dopo una breve udienza, le autorità hanno deciso che i loro visti per la Cisgiordania saranno revocati e che potranno rimanere in Israele fino al loro volo di ritorno, che era già previsto tra qualche giorno.

“Abbiamo avuto la sensazione che le probabilità fossero contro di noi a causa del comportamento degli agenti di polizia e dei soldati”, ha detto Chung. “Erano molto ostili nei nostri confronti e sembrava che volessero arrestarci e portarci fuori dal Paese”.

Le autorità israeliane “vogliono chiaramente vendicarsi

Michal Pomerantz, un avvocato che ha rappresentato molti degli attivisti americani detenuti o espulsi, ha spiegato che le accuse inconsistenti della polizia non avrebbero retto in tribunale, per cui gli attivisti sono stati trasferiti alle autorità per l’immigrazione. “Non è nemmeno una coincidenza che molti di loro siano americani”, ha aggiunto, perché dimostra che le autorità israeliane ‘vogliono chiaramente vendicarsi delle sanzioni [emesse dagli Stati Uniti sui coloni]’.

Pomerantz ha spiegato che tutti coloro che ha rappresentato hanno vissuto “un’esperienza scioccante e difficile. Sono stati trattati male, hanno passato ore sotto il sole, sono stati accusati di essere sostenitori di Hamas e odiatori di Israele. Alcuni di loro non hanno voluto [intraprendere un processo di appello in tribunale] a causa della spiacevole esperienza e [della minaccia di] un divieto di ingresso prolungato”.

Netta Golan, membro fondatore dell’ISM, ha detto che l’aumento dei bersagli degli attivisti internazionali fa luce su chi la polizia israeliana definisce “terroristi”. “Incolpano persone che non hanno alcun legame con gli atti di violenza, e mentono ed esagerano per arrivare al livello di ‘sostegno al terrorismo’ e ‘incitamento alla violenza’”, ha spiegato.

“Quando queste accuse sono rivolte a cittadini internazionali, [la polizia] non deve provarle e le persone vengono arrestate e deportate”, ha continuato. “Ma quando le stesse accuse sono rivolte ai palestinesi, in Cisgiordania vengono mandati in detenzione amministrativa [senza accuse o processo], torturati e rischiano di morire di fame in prigione, e a Gaza vengono uccisi con i loro figli e intere famiglie”.

Golan sostiene che la politica contro gli attivisti ha lo scopo di impedire “qualsiasi documentazione e prova della pulizia etnica in Cisgiordania, specialmente delle comunità di pastori palestinesi nell’Area C”.

Gli attivisti della solidarietà internazionale non rischiano solo di essere arrestati e deportati da Israele, ma anche di essere violentemente attaccati da soldati e coloni. A settembre, un soldato israeliano ha ucciso l’attivista turco-americana di 26 anni, Ayşenur Ezgi Eygi durante una protesta nella città di Beita. Eygi è la terza volontaria dell’ISM a essere uccisa dai soldati israeliani negli ultimi vent’anni.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *