Di A., partecipante al viaggio Ponti e non muri – aprile 2023
Una sera eravamo ospiti da una famiglia palestinese che ha condiviso con noi l’iftar offrendoci un’ospitalità fatta di gesti che abbattono muri e sorrisi che abbracciano terre. Dopo la cena siamo stati invitati ad andare a visitare l’altra casa appena ristrutturata della famiglia; ci siamo, quindi, divisi tra le macchine presenti e ci siamo avviati.
Io mi sono trovata in una macchina con quattro bambini, alla guida c’era la loro madre e ognuno di questi si era sistemato in un angolino; rimaneva senza posto la piccola Shirin, decisi, quindi, di aprire le mie braccia e lei ci saltò in mezzo.
Shirin rideva assieme ai fratelli e mi diceva parole che facevo fatica a capire ma sorridevo; ero assuefatta da quella sensazione che si prova quando si tiene in braccio un bambino, la sola vicinanza a quel corpicino caldo e vivace mi faceva essere felice.
Lungo il tragitto guardai fuori dal finestrino, ad un metro da noi c’erano quattro soldati israeliani in una postazione di controllo con i mitra puntati. Era assolutamente tutto normale, quei soldati stavano li, giorno e notte, da anni, e la madre di Shirin faceva quella strada e guardava quei soldati da anni.
In un secondo mi accorsi che stavo stringendo più forte il corpo di Shirin che continuava a ridere; tenevo quel corpicino attaccato a me nel tentativo di chiedergli perdono e spiegazioni; cercavo di trovare ragione al come potesse continuare a ridere, e voi mi direte “Bè è una bambina, la sua cognizione delle cose è differente.” e, allora, se lei è una bambina e la sua cognizione è differente che possiamo dire della madre? La madre l’ha messa al mondo consapevole che ogni giorno avrebbe accompagnato sua figlia lungo una strada dove avrebbe incontrato almeno un soldato, con almeno un mitra con il grilletto pronto e puntato ad altezza bambino.
Nell’incomprensione mi sono nascosta e protetta nel calore di quel corpicino, quella risata di bambina capiva più di me quanto stessi vedendo.
Visitammo la casa, scambiammo qualche chiacchiera e poi salimmo di nuovo in macchina.
Shirin saltò di nuovo tra le mie braccia, il tragitto era lo stesso, solo a ritroso; passammo di nuovo davanti ai soldati, questa volta mi feci trasportare dalla vivacità di Shirin e ridemmo assieme.
Scesi dalla macchina frastornata, quella risata mi aveva fatta immergere nella forza, a tratti incomprensibile perché tanto autentica, di un popolo. E compresi che no, non era tutto normale, che i palestinesi sono abituati alla situazione ma non appassiti dalla stessa; ho pensato di nuovo alla madre di Shirin, a che significato possa avere mettere al mondo una vita di fronte ad un mitra, forse ogni madre riesce a farlo nella speranza, fatta di forza ed azione, che quel mitra un giorno non ci sarà più.
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…