Netanyahu rilancia: «A noi il Filadelfia». Rabbia in Egitto

Articolo pubblicato originariamente su Il Manifesto

Quante volte in questi ultimi mesi gli americani hanno annunciato che l’accordo di tregua a Gaza «è stato in gran parte concordato»? Innumerevoli, troppe. E ogni volta abbiamo visto come è andata. Ciò nonostante, l’Amministrazione Biden continua sistematicamente a descrivere un quadro positivo che non c’è, mentre il negoziato resta paralizzato su un paio di punti – il controllo del Corridoio Filadelfia e lo scambio tra ostaggi israeliani e prigionieri politici palestinesi – dove la distanza tra le due parti resta ampia. «Il 90% di questo accordo è stato definito», ha fatto sapere ieri il solito anonimo funzionario americano. Nulla di più fuorviante.

Mercoledì sera, accanto a una mappa digitale senza la Cisgiordania occupata, in cui Israele è unico sovrano nel territorio dal Mar Mediterraneo al fiume Giordano, Benyamin Netanyahu è stato categorico nel ribadire che Israele non intende lasciare il Corridoio Filadelfia lungo il confine tra Gaza e l’Egitto. E lo ha ripetuto più volte qualche ora dopo in un’intervista alla Fox. «Non si potrà impedire il riarmo di Hamas e garantire che Gaza resti smilitarizzata senza il controllo israeliano del Corridoio Filadelfia», ha detto alla tv americana, accusando di fatto l’Egitto di non impedire il traffico di armi tra il Sinai e Gaza. In risposta alle dichiarazioni di Netanyahu, ieri il capo di stato maggiore egiziano, Ahmed Fathy Khalifa, ha visitato il confine con Gaza. «Abbiamo fiducia nella capacità dell’esercito di proteggere la frontiera internazionale», ha affermato Khalifa. Qualche ora dopo il quotidiano israeliano Haaretz ha avvertito che le manovre di Netanyahu stanno avvicinando l’Egitto alle posizioni della Turchia su Gaza. Il Cairo e Ankara per anni sono state divise da una reciproca avversione dovuta all’appoggio che Erdogan aveva dato ai Fratelli musulmani egiziani cacciati dal colpo di stato dell’esercito guidato da Abdel Fattah El Sisi, oltre che dal sostegno turco ad Hamas al potere a Gaza. Da un paio d’anni i due paesi sono tornati a dialogare e l’offensiva di Israele contro la Striscia li ha avvicinati ulteriormente.

«La sicurezza di Israele è un pretesto, la questione del Corridoio Filadelfia piuttosto è politica e ha un alto valore simbolico e di immagine per Benyamin Netanyahu», dice al manifesto l’analista Wadie Abu Nassar, «nella visione del primo ministro israeliano alla fine di questa guerra Israele dovrà assolutamente apparire vincitore agli occhi del mondo». Netanyahu, aggiunge, «occupando il Corridoio Filadelfia nel quadro di un cessate il fuoco potrà affermare di aver vinto poiché non ritirerà completamente le sue forze militari da Gaza. Hamas conosce questo obiettivo, sa che lo scontro riguarda anche la comunicazione e continuerà a chiedere un ritiro completo, anche in più fasi, delle truppe israeliane». Abu Nassar non crede che il cessate il fuoco sia «a portata di mano» come dicono gli Stati uniti: «Netanyahu punta a proseguire il conflitto ad oltranza o almeno fino alle presidenziali americane di novembre perché spera nella vittoria di Donald Trump. In quel caso è convinto che l’ex presidente Usa, una volta rientrato alla Casa Bianca, cesserà le pressioni americane su Israele e le sposterà sui paesi arabi alleati, affinché costringano Hamas ad accettare le condizioni israeliane». Quanto alla liberazione degli ostaggi, i cittadini israeliani dicono in un sondaggio appena pubblicato che il primo ministro privilegia la sua strategia di guerra al ritorno a casa dei circa 100 israeliani prigionieri a Gaza. Netanyahu reclama inoltre il potere di veto sui nomi dei 150 detenuti politici palestinesi che scontano l’ergastolo in Israele di cui Hamas chiede la scarcerazione in cambio degli ostaggi.

Nella «piccola Gaza» – come i palestinesi adesso chiamano Jenin, Tulkarem e le altre città del nord della Cisgiordania al centro dell’operazione militare «Campi Estivi» – ieri sei palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano. I droni hanno colpito il campo di Faraa poco prima delle 2 del mattino e verso le 4 hanno effettuato altri tre attacchi nella città di Tubas dove sono stati uccisi cinque combattenti palestinesi. Tra gli uccisi a Tubas c’è Mohammed Zubeidi, figlio di Zakaria Zubeidi, un noto ex comandante delle Brigate di Al Aqsa (Fatah) nella città di Jenin durante la seconda Intifada che tre anni fa fece notizia per la sua evasione dal carcere israeliano di Gilboa. Un sesto palestinese, un ragazzo di 16 anni, Majid Abu Zeina, è stato ucciso a Faraa. A Gaza un attacco aereo israeliano ha ucciso cinque palestinesi vicino all’ospedale Al Aqsa di Deir Al-Balah. Le vittime si trovavano in un accampamento di sfollati nel cortile dell’ospedale. Israele afferma di aver colpito un centro di comando di Hamas e del Jihad islami.

 

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