Bambini sotto tiro e dispersi. L’infanzia perduta di Gaza

Articolo pubblicato originariamente sul Manifesto

Di Michele Giorgio

STRISCIA DI SANGUE. Save the Children scrive che 21.000 minori palestinesi sono morti, detenuti, sepolti in fosse comuni

Sono bambini gravemente ammalati, fragili, esposti al pericolo delle infezioni che si diffondono tra le macerie e nelle tendopoli di Gaza. Hanno il cancro, malattie croniche e altre patologie che richiedono cure continue che nella Striscia non trovano più perché il sistema sanitario è collassato sotto l’urto dell’offensiva militare israeliana. Quando a inizio maggio i carri armati israeliani hanno raggiunto e chiuso il valico di Rafah, per alcuni di questi bambini, in attesa di raggiungere gli ospedali di El Arish e il Cairo, è stata una sentenza di morte. Quel transito è l’unica porta di Gaza sull’Egitto e il resto del mondo. Ieri, dopo un mese e mezzo, si è appreso che un gruppo di bambini sarà autorizzato ad uscire da Gaza attraverso il valico di frontiera israeliano di Kerem Shalom. Da lì entreranno in Egitto. L’Oms ha dovuto lottare per ottenere i permessi, sottolineano i media palestinesi. Al momento da parte israeliana non c’è conferma di questa intesa.

La notizia giunge mentre Save the Children diffonde nel mondo un suo nuovo rapporto che toglie il fiato. Si stima, scrive, che fino a 21.000 bambini e minori di Gaza siano dispersi, molti dei quali morti sotto le macerie, detenuti, sepolti in tombe anonime. Numeri che integrano i dati del ministero della Sanità locale, secondo i quali dal 7 ottobre sono stati uccisi più di 14.000 bambini, circa la metà dei quali non sono stati ancora completamente identificati. Tanti bambini sono stati rinvenuti nelle fosse comuni, molti mostrano segni di tortura e di esecuzioni sommarie. Come è stato detto, più volte, Gaza è diventata un cimitero di bambini.

Save the Children avverte che gli ultimi sfollamenti causati dall’offensiva a Rafah hanno separato tanti bambini dalle loro famiglie. Raccogliere informazioni precise sulla sorte dei minori scomparsi è un’impresa a dir poco complessa mentre Gaza è sotto attacco, con buona parte della popolazione sfollata, ciò nonostante, si ritiene che almeno 17.000 bambini siano non accompagnati e separati dai genitori (alcuni li hanno persi entrambi). Considerando che il 40% delle vittime dell’offensiva sono minori, vuol dire che circa 4.000 di questi sono probabilmente dispersi sotto le macerie. E non pochi sono stati arrestati da Israele. «Nessun genitore dovrebbe essere costretto a scavare tra le macerie o nelle fosse comuni per trovare il corpo del proprio figlio. Nessun bambino dovrebbe essere solo, senza protezione in una zona di guerra. Nessun bambino dovrebbe essere detenuto o tenuto in ostaggio», sottolinea Jeremy Stoner, direttore di Save the Children per il Medio Oriente.

Non possono essere dimenticati peraltro gli adolescenti palestinesi uccisi dalle incursioni dell’esercito israeliano nelle città cisgiordane e i 250 ragazzi incarcerati in Israele. Vanno ricordati anche i circa 39.000 ragazzi di Gaza che in questi giorni avrebbero dovuto essere impegnati nel Tawjihi, l’esame di maturità. Molti di loro sono stati uccisi dai bombardamenti, tanti altri sono stati feriti. E comunque le scuole non ci sono più: sono andate distrutte o da mesi ospitano gli sfollati. In queste condizioni, aspettarsi che il prossimo settembre bambini e ragazzi di Gaza possano rientrare in aula è pura utopia. Hanno perduto l’anno scolastico che si è appena concluso e, gran parte di essi, anche il prossimo.

Save The Children ricorda inoltre che almeno 33 minori israeliani sono stati uccisi negli ultimi otto mesi, mentre non è chiaro se ci siano bambini tra quelli ancora in vita tenuti in ostaggio a Gaza. I media locali ieri hanno diffuso un filmato, con l’autorizzazione delle famiglie, che mostra il sequestro di tre israeliani da parte di uomini di Hamas lo scorso 7 ottobre durante l’attacco nel sud di Israele.

«Siamo impegnati a sostenere la proposta (israeliana) accolta con favore dal presidente Biden. La nostra posizione non è cambiata», ha affermato ieri Benyamin Netanyahu intervenendo alla Knesset poco prima di ricevere un primo avviso, per abuso di potere, dalla Commissione di indagine statale sul controverso affare dei sottomarini e delle navi acquistati da Israele dalla Thyssenkrupp. «Vi prometto – ha detto il premier israeliano – tre cose: la prima è che non finiremo la guerra finché non avremo indietro i nostri ostaggi, vivi o morti. La seconda, che non contraddice la prima, è che non vi porremo fine finché non elimineremo Hamas e non riporteremo sani e salvi i residenti del sud e del nord alle loro case». «La terza – ha concluso – è che ad ogni costo e in ogni modo, contrasteremo le intenzioni dell’Iran di distruggerci». Netanyahu ha ribadito quanto aveva detto domenica sera alla tv Canale 14 in una intervista che da un lato afferma indirettamente l’intenzione di occupare Gaza a tempo indeterminato attuando al suo interno operazioni militari più limitate – la cosiddetta «Fase 3» della guerra – e dall’altro indica che tutto è pronto per l’invasione del Libano. Al confine con il paese dei cedri saranno spostate buona parte delle forze militari israeliane che per mesi hanno invaso e bombardato la Striscia.

Netanyahu parla di «Fase 3» a Gaza. Per i civili palestinesi invece è sempre la stessa fase, la stessa guerra distruttiva che subiscono da quasi nove mesi. Nelle ultime ore un attacco aereo contro una clinica ha ucciso Hani al Jaafarawi, direttore del dipartimento di pronto soccorso di Gaza city. La sua uccisione porta a 500 il numero degli operatori sanitari palestinesi uccisi dal 7 ottobre. Israele invece afferma di aver preso di mira Mohammad Salah che ha descritto come il comandante per lo sviluppo delle armi di Hamas. Altri due raid aerei hanno ucciso almeno 11 palestinesi: tre in un centro di distribuzione alimentare a Gaza City, otto a Bani Suhaila.

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