Articolo pubblicato originariamente su Haaretz e tradotto dall’inglese da Beniamino Rocchetto
Di Amira Hass
Un ulivo secolare abbattuto: questa immagine è degna di essere il simbolo dello Stato per un manifesto del suo 75° anno di esistenza, che vorrei innalzare in Kaplan Street a Tel Aviv con un’unica frase esplicativa: “La motosega appartiene ai coloni ebrei, le mani, allo Stato di Israele.” E aggiungerei anche: “Sponsorizzato dall’indifferenza, dal disprezzo e dal silenzio della maggior parte dei cittadini israeliani”.
Dalla fine di dicembre 2002 fino all’inizio di maggio, “individui sconosciuti” hanno abbattuto, segato, spezzato e sradicato circa 5.000 ulivi nei villaggi palestinesi in Cisgiordania. Non è niente di nuovo. Questo terrore agricolo e ambientale, intriso di odio per gli esseri umani e la natura, è stato parte integrante della diffusione degli insediamenti e degli avamposti dagli anni ’90.
A volte questi individui sconosciuti si possono vedere da lontano ma anche a distanza ravvicinata, a volte i loro attacchi vengono registrati dalle telecamere. A volte picchiano i raccoglitori di olive e i coltivatori. Né li scoraggia la presenza di soldati e poliziotti israeliani. Sanno che queste forze li proteggeranno e poi arresteranno i palestinesi che volevano difendere i loro uliveti e il loro raccolto.
La polizia “non troverà” alcun sospetto, figuriamoci sporgere denuncia contro di loro. Se non avessero servito gli obiettivi dello Stato con la loro violenza, le autorità della legge e dell’ordine non avrebbero lasciato loro mano libera. Gli aggressori vivono o sono ospiti nelle colonie ebraiche costruite dallo Stato in una zona che non gli appartiene, e sembrano ebrei religiosi. Non scriverò ebrei “timorati di Dio”, con sarcasmo laico, per non essere rimproverata dal mio amico Mikhael Manekin del nuovo movimento della “sinistra religiosa ebraica”.
Alberelli, alberi giovani di pochi anni e alberi secolari. Coloro che tagliano e vandalizzano negli uliveti non disdicono nessun tipo di albero e nessun tipo di metodo. Ma la vista degli ulivi secolari appartenenti agli abitanti del villaggio di Qaryut, che sono stati tagliati e abbattuti nell’ultimo mese e mezzo, è particolarmente scioccante. Migliaia di ulivi sono piantati sui dolci pendii delle colline di Qaryut. Hanno tronchi spessi e rami larghi: i delicati fiori biancastri annunciano un abbondante raccolto di olive in ottobre e novembre. Gli alberi mutilati si trovano sul pendio di una delle cime delle colline che è stata occupata dall’insediamento di Eli.
Dall’inizio di aprile, i residenti hanno scoperto che ripetutamente, ogni pochi giorni, sempre più alberi vengono abbattuti. La freschezza o la secchezza delle foglie dicono se si è trattato di un attacco nuovo o meno recente. Venerdì gli abitanti del villaggio mi hanno detto che due giorni prima avevano scoperto alcuni altri ulivi appena distrutti, anche se la polizia israeliana aveva affermato all’inizio della scorsa settimana che stavano “indagando”. Gli abitanti del villaggio non hanno visto nessun agente di polizia venire negli uliveti, né alcun proprietario è stato chiamato a testimoniare.
Non so se gli ulivi abbiano 150 o 200 anni, ma molti di loro sono stati chiaramente piantati da persone che sono morte da tempo. Ogni famiglia sa quale appezzamento gli appartiene, ogni fratello e sorella sa quali alberi appartengono a chi e il nome del nonno o bisnonno che li ha lasciati in eredità. Gli ulivi sono la prova vivente della presenza continua e secolare dei palestinesi nella loro Patria. E non c’è niente come gli ulivi più recenti per dimostrare la continuazione di una tradizione familiare agricola e i legami naturali, conclamati e profondi con la terra.
È chiaro: i vandali, con la loro violenza suprematista, mirano a dissuadere gli agricoltori dal raggiungere la loro terra, in modo che possa aggiungersi alle centinaia di migliaia di acri che hanno già arraffato in Cisgiordania in modi simili. In risposta alla loro aggressione seriale, il governo ricorre al suo esclusivo e collaudato marchio di fabbrica: punisce i palestinesi che vengono attaccati e proibisce loro di raggiungere i loro uliveti e i loro campi, tranne che per pochi giorni all’anno.
Ma i conquistatori vogliono di più: vogliono cancellare la continuità e il radicamento palestinese in questo Paese; vogliono distruggere il chiaro legame tra i palestinesi e la loro terra. Ogni albero abbattuto è un’espulsione metaforica, che intendono compiere.
Amira Hass è corrispondente di Haaretz per i territori occupati. Nata a Gerusalemme nel 1956, Amira Hass è entrata a far parte di Haaretz nel 1989, e ricopre la sua posizione attuale dal 1993. In qualità di corrispondente per i territori, ha vissuto tre anni a Gaza, esperienza che ha ispirato il suo acclamato libro “Bere il mare di Gaza”. Dal 1997 vive nella città di Ramallah in Cisgiordania. Amira Hass è anche autrice di altri due libri, entrambi i quali sono raccolte dei suoi articoli.
Fonte
Faccio mia la Preghiera del patriarca di Gerusalemme, sperando che le sue parole vengano ascoltate e accolte.
Senza parole. Siamo tutti responsabili....se c'è ne laviamo le mani....complici!
Signore Padre d'amore, ti prego ascolta il grido di dolore di tutte queste anime innocenti che stamno pagando con la…
Una preghiera
Mi è insopportabile la morte di un solo bambino, di una sola donna, di un solo uomo, tanto più se…